Avvenire di Calabria

Pubblichiamo la testimonianza dei ragazzi dell'Agesci parrocchiale di San Giorgio Martire di Reggio Calabria

Gli scout reggini impegnati nel volontariato internazionale

Redazione Web

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Pubblichiamo la testimonianza dei ragazzi dell'Agesci parrocchiale di San Giorgio Martire di Reggio Calabria:

Così, quasi per incanto, ci siamo ritrovati sulla strada verso Neos Kosmos, un quartiere a ridosso dell’acropoli ateniese. Era da qualche tempo, in verità, che la nostra comunità di clan aveva espresso il desiderio di un’esperienza di servizio fuori dalle mura di casa. L’occasione ci è stata offerta dalla Caritas Diocesana nell’ambito del progetto “Gemellaggi Solidali tra Grecia e Italia”. Coadiuvati da Alfonso e incoraggiati dal nostro assistente, abbiamo timidamente preso contatto con Elena del Centro di Accoglienza Neos Kosmos Social House, che, nell’ambito della programmazione, ci ha proposto una serie di possibili esperienze di servizio, in relazione alle attività del centro, offrendoci, inoltre, una descrizione della realtà ellenica e delle difficoltà politiche, economiche e sociali che la popolazione sta sopportando dopo oltre 7 anni di profonda crisi. Questa fase di programmazione ci ha resi maggiormente coscienti dell’esperienza che ci attendeva ed ha aumentato l’attesa e l’entusiasmo, tanto da scandire il countdown della partenza con una specifica app. Nonostante ci fossimo preparati, il ritrovarsi, all’uscita della metro, per le strade di Neos Kosmos ha prodotto in noi una sensazione di stupore, non certo per la bellezza del quartiere, che era ordinario e un po’ sporco (a causa dello sciopero in atto degli operatori ecologici), ma forse per una sensazione di familiarità, quasi un sentirci a casa.

Questa percezione è stata da subito confermata dall’incontro presso la Chiesa Armena con Padre Joseph Bazouzou, che ci ha accolto con un gran sorriso e dolcezza negli occhi, fornendoci ospitalità presso la sua struttura, dove abbiamo incontrato rifugiati siriani, afgani, cristiani e musulmani. Dopo esserci sistemati, ci siamo spostati di un paio di centinaia di metri per giungere presso il Neos Kosmos Social House (NKSH), un complesso costituito da due strutture: la Casa Famiglia di Filippo e Fabiola ed il Centro di Accoglienza Profughi. È iniziata da qui l'esperienza vissuta ad Atene, tra la struttura NKSH e la Chiesa Armena, ed è stata per ognuno di noi la partenza per un viaggio verso un “Nuovo Mondo”, animati dall’emozione, tremula ed insicura, dell’incontro con realtà difficili, ma sostenuta dalla certezza di riconoscere, lungo questo cammino, anime affini a noi con cui intraprendere la strada. Ad attenderci al centro NKSH abbiamo trovato Elena, guida e punto di riferimento, pianificatrice e coordinatrice delle nostre attività: è stato subito empatia Tante sono state le occasioni di servizio in cui Elena ci ha coinvolto: sistemazione di una rete di protezione sul terrazzo del centro insieme ad Elias; animazione dei bambini delle famiglie dei rifugiati del centro di accoglienza e del grest che ogni giorno si svolge nella chiesa armena; sistemazione dell’emporio del centro di ascolto; servizio nella mensa principale di Atene (1700 pasti al giorno); sistemazione e pitturazione dell’aula adibita a scuola e del cortiletto/ingresso del centro NKSH; sistemazione, aiutando sempre Elias, del giardino della stessa struttura che era diventato una discarica (lavoro, purtroppo, lasciato incompiuto, perché il nostro tempo era scaduto). Queste attività ci hanno permesso, oltre che di sentirci utili per gli altri e gratificati nel servizio, di entrare in relazione con persone con le quali abbiamo scoperto affinità profonde; vite che si sono rivelate esempi di coraggio e disponibilità verso il prossimo, quella disponibilità che si concretizza in scelte capaci di produrre cambiamento e migliorare la qualità della vita dei poveri, dei malandati, dei senza dimora. Le emozioni che l’incontro con questi fratelli ci ha trasmesso, attraverso il racconto delle loro scelte e del loro vissuto, hanno rappresentato una straordinaria occasione di crescita interiore. Il primo a condividere la sua storia con noi è Filippo, che ci racconta come, insieme alla moglie Fabiola ed ai suoi figli, circa 4 anni fa, ha scelto di lasciare lavoro, parenti, amici ed una vita agiata nella sua amata Siena, per accogliere la proposta dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (APG23) di fondare una Casa Famiglia ad Atene, con l’obiettivo di accogliere bambini greci in difficoltà.

Riviviamo nel suo racconto le complicazioni dei primi anni in una terra straniera, con una lingua sconosciuta, con i loro bambini che, inevitabilmente, incontravano difficoltà di inserimento nella scuola, con le macchinazioni burocratiche delle istituzioni elleniche che ostacolavano i loro obiettivi di servizio e di accoglienza. Filippo ci rivela come la loro missione, rivolta principalmente verso i bambini senza famiglia, si sia evoluta in questi ultimi anni verso l’accoglienza di interi nuclei familiari di profughi con bambini piccoli o in arrivo. Ciò che colpisce nella sua testimonianza è la serenità e l’equilibrio nel raccontarci di queste difficolta, ma soprattutto la gioia che traspare dal suo viso, che si illumina, quando ricorda l’arrivo di un bambino salvato dalla strada o la nascita di una nuova creatura nella sua casa famiglia. Una testimonianza di scelte molto forti e strettamente personali, come ci tiene a sottolineare Filippo, che da subito ci mette in crisi e ci impone riflessioni profonde sulle nostre scelte di vita, sul nostro modo di essere scout, sul nostro modo di essere cristiani. Il racconto di Padre Josef, nostro ospite, davanti ad una cena a base di piatti armeni e libanesi (Il Tabbuleh), ci fa viaggiare tra le vicissitudini del popolo armeno e la tragedia della guerra siriana, documentandone quasi un parallelismo. Si sofferma sulla storia attuale di Aleppo (in cui per tanti anni è stato sacerdote), situata sulla “Via della seta” e per questo da sempre città di convivenza multiculturale, multireligiosa e multietnica. Ci racconta come Aleppo sia stata trasformata, da chi aveva interessi economici, in un luogo di odio e conflitti fino ad essere l’epicentro di una guerra fratricida e di distruzione totale. Ci descrive, padre Joseph, le complessità dell’essere minoranza nella minoranza: il 99,5% della Chiesa, in Grecia, è quella cristiano ortodossa ed è l’unica riconosciuta dallo Stato, mentre lo 0,5%, quella cattolica (solo un’esigua parte è di rito armeno) è disconosciuta da quasi tutta la popolazione greca. La cena con padre Joseph ci fornisce uno spaccato della realtà e degli eventi che scuotono e dissestano i territori del vicino oriente. L’incontro con Elias è un identificarsi, uno specchiarsi in una realtà che ci appare lontanissima ma che, soffermandoci a leggerla sul suo viso, riscopriamo molto vicina. Elias, 25 anni, è dal primo momento uno di noi: ci aiuta e ci coordina in nella attività di servizio, ma poi lo scopriamo in aula a presentarci un seminario sulla sua terra, la Siria, dalla quale è dovuto fuggire per non essere ammazzato. Ci racconta che la guerra civile che sta dilaniando la sua patria è stata causata da ingerenze esterne, che hanno sobillato il mosaico di etnie religiose, alimentando tensioni fino allo scoppio di scontri apparentemente di matrice religiosa. La genesi di questo conflitto sta nella contesa, tra organizzazioni multinazionali del settore dell’energia, nel volersi appropriare di risorse e territori siriani, coadiuvati e supportate delle potenze mondiali. Stimolato da alcune domande, Elias accetta di raccontarci la sua fuga dalla guerra: è stata sua madre ad imporgli di andar via; la sua vita è stata in balia di diversi gruppi di trafficanti che, puntualmente, lo hanno derubato. Ricorda, ancora con angoscia, il suo incontro con l’ISIS, quando il suo bagaglio era stato perquisito, ma, miracolosamente, non era stato toccato il suo marsupio, ove era custodito un rosario ed un’immaginetta di Gesù, colpa sufficiente per essere sgozzato. Racconta di come, una notte, si trovava a passare sulla linea del conflitto, trascinando bagagli per aiutare famiglie in fuga, i cui bambini erano stati sedati per non fare rumore e mantenere un totale silenzio durante la traversata. Ricorda di personaggi ambigui che gli indicavano una falsa via della salvezza, ma anche l’incontro casuale (o forse no ???) con un vecchio che lo ha accolto, nascosto e messo in salvo, portandolo in un lembo di terra sicura. Il vissuto di Elias, raccontato con un filo di voce e tanta trepidazione, scatena un turbinio di riflessioni intense e sollecita nuovi scenari interiori, in cui si staglia livida, ben visibile alla mente ed agli occhi, l’assurdità dei conflitti umani. E poi Padre Ioannis Paulos, sacerdote ortodosso, amico del nostro assistente, che viene a trovarci per offrirsi come guida in un percorso culturale, religioso e sociale sulla civiltà ellenica. Dalle sue prime espressioni traspare una profonda cultura biblica e teologica. Anche se non sempre riusciamo a seguirlo nei suoi processi cognitivi e verbali, anche per un italiano un po’ stentato, veniamo comunque rapiti dalla sua personalità, dal suo fascino, dalla sua religiosità. Ci rivela il suo grande sogno di Chiesa Ecumenica, per cui si batte aspramente all’interno della sua realtà, venendo, per questo, additato come traditore dell’ortodossia (nel vero senso della parola). Trapela da quest’uomo una forza, una fermezza nelle sue convinzioni, una vivacità nei suoi obiettivi che è edificante per chiunque lo incontri sul suo cammino. Inizia dentro le stanze della rivista Shedia (“Scialuppa di salvataggio”) (Shedia.gr). il nostro ‘’Invisible Tour’’. Shedia è l'unico giornale greco di strada, una rivista che descrive la realtà di coloro che, da più di tre o quattro anni, sono fuori dal mercato del lavoro, senza casa, socialmente esclusi e vivono in strada o in alloggi provvisori e inadeguati. La rivista, come ci spiega uno dei suoi reporter, non si occupa solo di informazione, ma è impegnata soprattutto nell’avvio di programmi di reintegrazione. Tale processo avviene attraverso il coinvolgimento, dei concittadini che vivono senza fissa dimora, in una serie di avvenimenti culturali, sportivi e formativi (tra cui concerti, mostre, workshop, feste, tornei di calcio, corsi di aggiornamento ecc.) appositamente organizzati. L’obiettivo è fornire occasioni d’incontro, di dialogo, di svago, di intreccio di relazioni (anche lavorative), al fine di far riconquistare il “senso di appartenenza” e superare lo status di “invisibile”. In queste stanze incontriamo Lambros Mustakis, un omone dal viso gentile e dall’aspetto dimesso. È un senza tetto, la nostra guida nei luoghi più infelici di Atene, l’‘’Invisible Tour’’, lì dove si consuma la vera povertà, quella povertà estrema che coinvolge oltre il 20% della popolazione (2,5 mln su 11 mln; per avere un metro di paragone in Italia siamo al 7%). Ci racconta la sua storia di giovane con la passione per gli studi umanistici (voleva fare l’avvocato), ma che, a causa delle ristrettezze economiche, non ha potuto intraprendere. Ci racconta della sua migrazione in Argentina, dal fratello, proprio nel momento in cui, fine anni ’90, era scoppiata la terribile crisi economica che lo aveva costretto a rientrare in Grecia.

Era l’inizio di un susseguirsi di lavori saltuari: facchino, cameriere, operaio edile, ecc.. Un giorno, tornando dal lavoro, - un lavoro per il quale non veniva pagato da due mesi, non riuscendo così a pagare l'affitto -, scopre che la serratura della porta di casa è stata cambiata. Si ritrova seduto su una panchina a guardarsi le mani, a rivivere tutti i momenti belli della sua vita, sconvolto dalla certezza che di momenti belli non ne avrebbe vissuti per molto tempo. Mentre continua il suo racconto, vagherà per 4 anni alla ricerca per sé stesso di un po' di dignità, ci accompagna lungo delle strade del quartiere di Omonia, dove il tasso di povertà sfiora 80%, mostrandoci i luoghi “simbolo” del degrado sociale: il dormitorio comunale, che ospita circa 150 persone soprattutto anziani e malati di cancro, la mensa più grande di Atene (Caritas Hellas) che fornisce in media 1700 pasti al giorno, dove chiunque può mangiare anche senza documenti. Ci mostra la piazza ed i vicoli che di notte si animano per la prostituzione e lo spaccio di droga: la “droga dei poveri”, completamente chimica, costo medio per dose 2 euro, aspettativa di vita massimo 1 anno e mezzo. Ci spiega Lambros che le esigenze di un senza dimora sono principalmente tre: cosa mangiare, dove dormire, come e dove curarsi. Mangiare e dormire sono necessità che si riesce, anche se con difficoltà, a soddisfare, mentre la cura della salute è un fattore veramente drammatico. Tutto il sistema sanitario nazionale è ormai completamente al collasso e non garantisce le cure neanche alle persone più abbienti. E’ facile comprendere come per un senza tetto l’accesso alle visite mediche e ai medicinali è impresa quasi impossibile. Sottolinea come in questi luoghi il potere della criminalità organizzata, la mafia greco/turca che gestisce prostituzione, droga, traffico di armi, sia aumentato vertiginosamente negli ultimi 4 anni Infine, Lambros ci porta davanti al Teatro Nazionale Greco di Atene in Agiou Konstadinou, luogo e simbolo della sua rinascita. Attraverso il coinvolgimento in una compagnia teatrale, composta soltanto da persone senza fissa dimora, ritrova la possibilità di parlare con la gente, di intrecciare inedite relazioni emotive nell’interpretazione dei personaggi teatrali che gli vengono affidati. Comprende quanto sia fondamentale, nelle comunicazioni interpersonali, la mitezza dei gesti e delle parole. Ci saluta davanti ai mercati generali, esortando i ragazzi a non mollare mai, a dedicarsi alla famiglia, alla scuola, agli amici, mantenendo uno spirito gioioso e di speranza. Infine l’incontro con Elena e Petroula due ragazze cui dobbiamo l’organizzazione ed il supporto di questa nostra esperienza: Elena, venuta ad Atene dopo gli studi su Cooperazione Internazionale e Trasformazione dei Conflitti, per realizzare il suo sogno di servizio e Petroula, con una formazione in Scienze dell’Educazione presso l’Università Pontificia Salesiana ed una passione innata per i bambini, che sono state il più grande e concreto esempio di servizio per i nostri ragazzi. Nonostante la loro giovane età (poco più che ventenni), sono promotrici e referenti di diversi progetti di ospitalità per famiglie disagiate e di assistenza alla popolazione povera, messi in atto dalla Caritas Italiana e Caritas Ellenica. Attraverso il loro lavoro abbiamo percepito la vera essenza dell’accoglienza, abbiamo compreso che la dolcezza di un sorriso va ben oltre la difficoltà linguistiche e le diversità culturali e/o di religione. Incontrare Elena e Petroula nella nostra vita è stato come ritrovare anime gemelle, come ritrovare amici da tempo lontani, ma la cui affinità crea legami che né il tempo né lo spazio possono intaccare Torniamo dalle strade di Neos kosmos appassionati nel cuore e guidati dall’anima. Sempre più convinti che l’essere pellegrini è uno staus permanente, una condizione naturale dell’essere scout. In viaggio verso una meta che sposta continuamente il proprio orizzonte in avanti, in cui essenziale è non tanto il raggiungimento della stessa, ma:
- la direzione: che indica ciò che noi siamo e ciò che vogliamo diventare, i nostri valori, i nostri sogni.
- i nostri compagni di viaggio: perché a noi non piace viaggiare da soli, ci piace camminare con i nostri amici, soprattutto se sono poveri, malandati, malfamati,
- la speranza: .... di essere sulla strada di Emmaus a dialogare con Gesù fino a sera … e all’alba guardare l’orizzonte e ripartire.

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