
Limbadi, il 6 maggio si illumina per Maria Chindamo: memoria viva contro la ‘ndrangheta
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«Se c’è qualcuno realmente che sa, ci faccia sapere qualcosa. È l’appello di una mamma che vorrebbe sapere la verità, che avrebbe diritto di sapere la verità sull’uccisione del figlio». Maria Princi, mamma di Francesco Inzitari, ucciso dalla ’ndrangheta il 5 dicembre 2009, ad appena 18 anni, per la prima volta accetta di essere intervistata. In dieci anni non lo aveva mai fatto.
«Io vorrei far uscire due messaggi. È vero che c’è la giustizia divina, però io ho fermamente bisogno di quella terrena. Voglio guardare in faccia la persona che ha ucciso mio figlio. Gli devo chiedere “perché lo hai fatto?”. E poi se riuscissi ad avere veramente questo dono di perdonare, mi basterebbe. Poi tutto il resto non conta. Indietro non si può tornare». Un incontro forte, quello con Maria. Lacrime e sorrisi. Accanto ha la figlia Nicoletta, incinta al quarto mese di un maschietto, mentre nella sala scorrazza la primogenita, Francesca, di un anno e mezzo. «Non ho perso la speranza che prima o poi si scopra chi ha ucciso – mi è anche difficile pronunciare questa parola – mio figlio, perché è un atto dovuto per lui, per la famiglia, per la società. Ma vorrei una risposta più convinta da parte dello Stato, che si impegnasse un po’ di più».
Ha un ricordo particolare di quel giorno, prima o dopo l’omicidio?
Prima. Quella sera Francesco, stranamente e diversamente da come faceva solitamente, ora che era grande, prima di uscire mi ha abbracciato e baciato tre volte. Come il segno della Croce: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Cosa sono stati questi dieci anni?
Un inferno. Ho dovuto elaborare la morte di mio figlio e ancor prima quella di mio fratello. E tutti gli altri problemi giudiziari che si sono aggiunti.
Come ce l’ha fatta?
Innanzitutto con la forza della fede che avevo un po’ conservato in un cassetto. L’ho riaperto e ho avuto questo grandissimo aiuto. E poi ce l’ho fatta perché ci sono le altre figlie, Nicoletta e Leonarda, che hanno diritto ad avere una mamma più serena possibile, anche se sereno è un termine che non esisterà più nella mia vita perché io ho una pena che non finirò mai di scontare. Se dovessero arrestare chi ha ucciso mio figlio, la sua pena prima o poi finirà di scontarla, per me, invece, il fine pena è mai. Ma ho una responsabilità verso le mie figlie, e i miei nipoti, che hanno diritto di vivere in maniera meno peggiore possibile. Infine mi sono dovuta impegnare anche per il personale dell’attività commerciale. Se mi avessero visto crollare, se ne sarebbero tutti andati. Così quando vado a lavorare ho un “abito” diverso.
Questa macchina infernale della violenza non si è fermata con l’uccisione di Francesco, perché poi hanno tentato di uccidere suo marito. Non finirà mai? Non è bastato uccidere Ciccio?
La preoccupazione c’è, anche se spero che finisca. Nessun genitore può accettare la morte del figlio prima della propria. È contro natura.
Ma è riuscita a non alzarsi tutte le mattine con pensieri cupi?
Sì, ci sono riuscita. E sto pregando e mi sto sforzando, anche se il cuore mi dice una cosa e la testa un’altra, di riuscire piano piano anche a perdonare. Perché mi potrebbe far stare meglio. Il perdono, come dice la parola, è un dono che ti viene dato. Mi creda, se io riuscissi a perdonare e magari ad aiutare pure i figli di chi ha tolto la vita a mio figlio, sarebbe per me il massimo risultato nell’elaborazione di questo mio grande dolore.
Come ha sentito il paese? Vicino, lontano, impaurito, troppo silenzioso?
Molto vicino ma allo stesso tempo molto impaurito. Siamo stati noi ad allontanarci, forse per vivere da soli il nostro dolore. Ma ogni giorno vedo persone che ci vogliono bene.
Ma c’è ancora paura a Rizziconi?
Penso proprio di sì.
Eppure il capi della 'famiglia' sono tutti in carcere al 41bis e chissà quando usciranno.
Non so se definirla solo paura o anche sudditanza. Il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho definì Rizziconi «paese del medioevo, quando era il signore a decidere della vita e della morte dei propri sudditi». Per questo parlo di sudditanza. Ma sudditanza per paura.
Non si vede una grande spinta al cambiamento...
No. Non la vedo. È come dieci anni fa, come venti anni fa.
Tornando ad allora, a prima dell’omicidio, c’è qualcosa che dovevate fare e non avete fatto? O che avete fatto e non dovevate fare?
Non so rispondere. Ci sono stati errori? Non lo so. È troppo semplice fare delle analisi dopo che le cose succedono.
Sapevate che a Rizziconi c’era la ’ndrangheta. Non pensavate di poter avere anche voi dei problemi?
Lo vedevo come un fenomeno distante. Ora invece leggo tutti i libri che escono sul tema. Seguo tutta la cronaca giudiziaria.
E perché prima no?
Facevo la mamma e l’imprenditrice. Casa, lavoro e chiesa. La ’ndrangheta era per me un fenomeno di altri. Quando poi sei toccata e paghi in prima persona quello che ho pagato io, apri gli occhi, li spalanchi e cominci a capire veramente quello che la ’ndrangheta ha fatto contro la nostra terra.
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