Dai brigatisti ai mafiosi, il nuovo libro di don Silvio Mesiti
Il cappellano del supercarcere di Palmi: «C’è speranza dietro le sbarre»
di Francesco Chindemi
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Il carcere raccontato dal punto di vista dei detenuti e di chi vi opera all’interno. È quanto si propone di fare don Silvio Mesiti, 50 anni di sacerdozio festeggiati il 14 agosto dello scorso anno, in gran parte vissuti proprio tra coloro che espiano una pena, nel suo libro “Il tunnel della Speranza” pubblicato proprio in questi giorni per i caratteri di Laruffa.
Un diario, come lui stesso lo definisce in premessa, «scritto giorno per giorno, durante il mio ministero svolto nella casa circondariale di palmi, dove ancora presto servizio come cappellano». Don Silvio è parroco della parrocchia di San Nicola di Palmi e presidente dell’Associazione di volontariato “Presenze”, punto di riferimento non solo per la diocesi di Oppido-Palmi. È tutt’ora cappellano del supercarcere di Palmi, struttura penitenziaria di massima sicurezza, voluta dal generale Dalla Chiesa nel 1979 per ospitare detenuti condannati o imputati per reati connessi al terrorismo, tra i quali Renato Curcio, capo storico delle Brigate rosse. Il racconto muove proprio tra quelle mura e si propone come «testimonianza di una pagina di storia intensamente vissuta».
Dagli anni di piombo ad oggi, don Silvio Mesiti intende aprire una riflessione e «far conoscere il modo con cui si sconta la pena al presente», anche nella prospettiva di migliorare «non solo la mia presenza, ma quella delle istituzioni, a contatto con un’umanità difficile e complessa». È sempre difficile comunicare all’esterno la realtà carceraria. Don Silvio ci riesce, perché di quel mondo non solo lo conosce bene, ma ne fa parte. Un microcosmo contrassegnato non solo dalla espiazione della pena, ma anche da difficoltà, disagi per chi vi opera, sentimenti, affetti ed emozioni. Di una vita reale che appartiene alla sfera personale di ogni singolo recluso, non solo rispetto ai reati commessi o agli anni di condanna da scontare. Un libro che si fa leggere e appassiona e dalle cui pagine emerge un messaggio di fiducia e speranza. Del resto «togliere la speranza – le parole di don Silvio Mesiti – è negare la possibilità di un ravvedimento da parte di chi si è macchiato di reati. La pena non è fine a sé stessa. Deve avere anche una valenza redentiva. La pena insomma va intesa come un valore».
Per il suo libro, l’autore si è avvalso anche del contributo del vescovo della sua diocesi, monsignor Francesco Milito, dell’arcivescovo di Reggio Calabria monsignor Giuseppe Fiorini Morosini e del vescovo di Mileto, monsignor Luigi Renzo. Ma anche del penalista e già parlamentare Armando Veneto, del magistrato Antonio Salvati, di Antonino Parisi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Palmi, di Carmelo Lombardo educatore penitenziario e dell’attuale direttore del penitenziario di Palmi, Antonio Mario Galati. Alcune tra le figure più significative incontrate, negli anni, nel corso della sua esperienza da don Mesiti.
«Con me – ancora don Silvio – porto le sofferenze e le lacrime, di questi anni vissuti a contatto con questo mondo. La società civile non si limiti solo a esprimere verdetti, ma contribuisca effettivamente alla redenzione di chi ha scontato la pena, aiutandolo nel percorso di reinserimento sociale». Ha detto bene monsignor Morosini: «Il messaggio che lancia don Misiti, dopo la sua lunghissima esperienza come cappellano delle carceri, a tutta la comunità ecclesiale e a tutte le persone dal cuore retto, è quello che il carcere non necessariamente è un tunnel di morte, ma può diventare un sentiero di speranza, lungo forse lunghissimo, se la comunità cristiana sa stare accanto a coloro che nel suo nome sono presenti in carcere ad annunciare Gesù Cristo, segno di speranza per tutta l’umanità».
Ecco la puntata di oggi del percorso Podcast intrapreso dall’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone.
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