Avvenire di Calabria

La procura di Palmi ha disposto accertamenti sui rifugi forniti per la tendopoli. Segnalate anomalie negli impianti elettrici, a rischio incendio.

Il giovane Sylla morto folgorato: dubbi sulle tende del Viminale

Toni Mira

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Sylla Noumo, l’immigrato senegalese morto venerdì nell’incendio della sua tenda, era arrivato a San Ferdinando da un mese e mezzo. Veniva dalla Spagna dove era stato per lavoro. Venerdì mattina doveva andare al commissariato di Gioia Tauro per il rinnovo del permesso di soggiorno. Aveva un appuntamento con un amico che però lo ha aspettato invano.

Cominciano ad emergere alcune notizie sul trentaduenne immigrato, così come alcune sue foto. Le fonti sono gli stessi immigrati che raccontano pezzi della sua breve vita. Ma anche ipotesi sulla morte. Probabilmente dopo aver fatto la doccia sarebbe rimasto folgorato in tenda toccando qualche filo o la “ciabatta” in dotazione. Una scossa molto forte che lo avrebbe poi bruciato. È un’ipotesi, suffragata dal fatto che alcuni giorni fa un immigrato aveva visto del fumo uscire dall’impianto elettrico della sua tenda, un principio d’incendio che è riuscito a spegnere. La conferma che non tutto funziona a norma nella nuova tendopoli, in particolare nelle tende del Ministero dell’Interno, soprattutto dopo lo smantellamento della baraccopoli.

L'altro ieri si è svolta l’autopsia. Ma non basta, come ci spiega il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza. «Siccome ci voglio vedere chiaro, per la prima volta ho voluto disporre una consulenza tecnica per accertare le cause dell’incendio. Un accertamento non facile. Anche per questo ho voluto fare personalmente un accurato sopralluogo. Non abbiamo nessun elemento che ci possa indurre a ritenere che si possa trattare di un fatto doloso. Inizialmente erano corse voci di dissapori con altri immigrati, ma non abbiamo trovato riscontri». Che comunque ci siano dei problemi nella gestione del trasferimento degli immigrati, lo dimostrano le parole un po’ stizzite del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. «Stiamo lavorando, abbiamo mandato 350mila euro. Abbiamo allontanato quasi mille persone, vogliamo riportare ordine dove da anni c’era il delirio. Conto che sia l’ultimo dramma che si vive da quelle parti».

A chi è diretto l’avvertimento? Dal presidente della Regione, Mario Oliverio, arriva un duro attacco alle scelte del ministero. «Non servono pannicelli caldi o soluzioni rabberciate che non affrontano alla radice il problema. Il governo deve assumersi la responsabilità di dire cosa si vuole fare in maniera seria e definitiva per togliere migliaia di persone da situazioni di assoluta precarietà e inciviltà. Non servono operazioni di mera estetica propagandistica – insiste il governatore – . Purtroppo, come era facilmente prevedibile, si è riprodotta la situazione di degrado e di disagio sociale esistente fino a qualche giorno fa solo a qualche metro di distanza. Non basta “abbellire” il ghetto ma è necessario evitarlo attraverso interventi di inserimento ed integrazione nella comunità ». E Oliverio indica il recupero dei beni confiscati, «garanzie e sostegno per rendere accessibili le locazioni dei privati che vogliano liberamente mettere a disposizione le abitazioni non utilizzate», «incentivare le aziende che utilizzano la manodopera degli immigrati, realizzare moduli abitativi idonei all’interno delle aziende agricole ». Ma per ora i 30 moduli abitativi promessi dal Viminale, sono insufficienti (appena 240 posti) e destinati ai Comuni che li accetteranno. L’obiettivo, fanno sapere dal ministero, è svuotare progressivamente la nuova tendopoli entro l’inizio della prossima stagione di lavoro (settembre-ottobre). Un altro “trasloco”. E una soluzione ancora una volta emergenziale.

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