Avvenire di Calabria

Una testimonianza toccate e che coinvolge l'intimità del servizio in carcere

Il Papa ai volontari penitenziari: «Siate custodi della dignità»

Andrea Zaghi

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di Francesco Cosentini * - Sono uscito dall’udienza del 14 Settembre, con le tre parole che il Papa ha utilizzato per rivolgersi al personale nelle carceri italiane. Mi si erano ficcate in testa e martellavano quasi per rivendicare di essere accolte, meditate, approfondite. Chi varca ogni giorno i pesanti portoni degli istituti di pena ha saputo dare il senso giusto alle parole del Pontefice: «grazie » agli agenti e al personale civile, «avanti» ai cappellani e volontari, «coraggio» ai detenuti. Nessuna componente è rimasta fuori dell’attenzione del Pontefice. Ero arrivato in Piazza San Pietro a piedi da Regina Coeli, con largo anticipo. Man mano che mi avvicinavo al colonnato respiravo aria di presenza massiccia del personale venuto da tutte le parte d’Italia: famiglie intere intorno ad un uomo e una donna in divisa, funzionari in grande spolvero, cappellani con il colletto bene in vista: tutti apparivano un po’ elettrizzati per l’evento che si stava per vivere. L’atmosfera era molto bella e coinvolgente. Ho trovato posto in mezzo agli agenti in pensione che stanno consociandosi in un gruppo di volontariato. Erano tutti vestiti con le insegne dell’associazione. La gioia di essere là, a due passi della baldacchino dove si sarebbe fermato il papa e poterlo vedere da vocino, era tanta. Questo gioia mi ha espresso più volte l’agente sardo in pensione di 82 anni che era seduto accanto a me. «Mai avrei pensato – mi ripeteva – di avere questa opportunità». Con loro ho vissuto le ore di attesa, con le testimonianze e i canti. Per la verità, quando si attende qualcosa di importante, tutto quello che si fa sembra non avere grande risalto. Poi, l’arrivo e le parole del papa. Nell’essenzialità del discorso, sintetizzato nelle tre parole: grazie, avanti, coraggio, il Papa ha tracciato la linea da percorrere per avere sempre le «motivazioni giuste» per svolgere al meglio il proprio servizio per chi vi lavora. Al personale tutto ha additato una prospettiva nuova: «Non essere solo vigilanti, ma custodi delle persone». Questo comporta il cambiamento di prospettiva nel rapporto con i detenuti, dove vi sia un superamento di «paure reciproche » e del «dramma dell’indifferenza» e permette così di diventare «ponti tra il carcere e la società civile». Ai sacerdoti e volontari cristiani che vanno in carcere per portare un messaggio di speranza, dà uno sprone particolare. Conoscendo i pregiudizi molto diffusi nella società, e anche nella comunità cristiana, riguardo a chi si trova in carcere, il Papa li sollecita a non farsi condizionare, ma essere determinati ad andare «avanti ». Infine, la parola giusta ai detenuti: «Coraggio ». Il Papa non ha un atteggiamento buonista verso chi ha sbagliato violando la legge. Ma delinea sempre un percorso di grande maturità dove c’è la coscienza dell’errore commesso e l’apertura ai valori profondi che si radicano nell’esperienza di fede. In tutte le circostanze il Papa sembra una mamma che mette in bocca al suo bambino la medicina che lo aiuta a guarire e crescere. La medicina che il Papa amministra sempre si chiama «amore grande di Dio» verso chi si trova nella sofferenza, privo di libertà e lontano dai propri affetti. Famosa è la frase che disse nel primo incontro con i cappellani: «Dite ai vostri assistiti che non sono soli nella cella, ogni volta prima di loro entra Cristo e vi rimane». A tutto questo pensavo tornando a casa quel 14 Settembre. A questo, sono certo, hanno pensato e stanno pensando quanti hanno avuto la fortuna di essere in Piazza San Pietro per l’udienza papale.

* presidente di LiberaMente

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