
Il segreto di Francesco. La riflessione dell’arcivescovo Morrone sul Papa venuto «dalla fine del mondo»
Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria –
di Maddalena Di Prima* - La visita di papa Francesco in Iraq ha rappresentato un evento intensamente significativo e simbolico. Il pellegrinaggio pastorale ha affrontato una duplice sfida: da un lato gli obblighi di distanza e isolamento dovuti alla pandemia, dall’altro le condizioni sulla sicurezza, in una terra dilaniata da anni di guerra e distruzione causate dal fanatismo politico-religioso. Il Paese è da sempre un ricco mosaico di tradizioni culturali e credi compositi: accanto alla maggioranza della popolazione rappresentata dagli sciiti, vi sono curdi sunniti, yazidi, cristiani caldei, siro-cattolici, luterani, anglicani, siro-ortodossi e armeno-ortodossi. Le diverse etnie, a cui corrispondono le varie appartenenze religiose come fattore identitario, sono state vittime di persecuzioni e tremendi stermini che ne hanno dimezzato la popolazione, il cui apice è stato raggiuto tra il 2014 ed il 2017 con i massacri del sedicente Stato Islamico, altrimenti noto come ISIS o Daesh. Il Papa vi si è recato per “toccare il popolo di Dio”, per portare consolazione e conforto ai cristiani iracheni, ricordando loro di non essere soli nella grande comunità cristiana, di cui egli è il pastore nelle differenze, di essere tutti fratelli nella fede perché si riconoscono nel Crocefisso Risorto, ed anche a tutti i fratelli musulmani iracheni, poiché “la fraternità è più forte del fratricidio”. L’incontro interreligioso ad Ur è stato particolarmente emblematico per tutte le famiglie di fede monoteista: la riscoperta delle origini di Abramo, figura che accomuna Islam e Cristianesimo, Bibbia e Corano, la cui stessa vita rappresenta un modello da seguire per la fedeltà e la totale sottomissione a Dio, che partì da Ur dei Caldei per ordine divino, rompendo i legami con la sua terra e le divinità degli antenati, confidando nel destino che Dio gli aveva riservato. Papa Francesco nel suo lungo discorso ha ripreso l’immagine delle stelle nella promessa fatta ad Abramo (Gen. 15, 5) per ricordare al popolo iracheno di trovarsi sotto lo stesso cielo stellato, di esserne i discendenti e “guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra”. Lo storico viaggio apostolico di Sua Santità come “pellegrino e penitente” che chiede il perdono per i peccati commessi sulla terra e come pastore che è andato per incontrare il suo gregge ripercorrendo le orme del capostipite Abramo, è stato contraddistinto anche dalla visita nella città di Najaf al Grande Ayatollah sciita Ali al-Sistani. Il dialogo di papa Francesco con l’Islam, iniziato due anni prima ad Abu Dhabi con l’Imam sunnita Ahmed al-Tayyeb e che aveva portato alla firma del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, si è sostanziato con la tappa a Najaf, il terzo luogo santo dell’Islam dopo La Mecca e Medina e principale centro religioso sciita iracheno. Il gesto suggerisce che il suo abbraccio pastorale intende essere rivolto a tutto l’Islam, essendosi esteso adesso anche alla componente sciita. La città, infatti, rappresenta il cuore della spiritualità sciita essendovi sepolto ‘Ali, cugino e genero del profeta Maometto, figura attorno alla quale si sono sviluppate la storia e la teologia sciite. Durante la conversazione con il capo religioso musulmano, il Papa ha ricordato l’importanza del rispetto reciproco e del dialogo per contribuire al bene non solo dell’Iraq ma dell’umanità intera, ringraziando l’Ayatollah per essersi adoperato, insieme alla sua comunità, alla difesa dei più deboli e degli oppressi durante le difficoltà e di fronte alle violenze, sottolineando la sacralità della vita umana e incoraggiando l’unità del popolo iracheno. Le parole di papa Francesco nel congedarsi sono state pronunciate in arabo “Salām, salām, salām! Allah maʻakum” (Pace, pace, pace! Dio è con voi), la lingua comune di musulmani e cristiani in Medio Oriente. Nel volo di ritorno verso Roma ha fatto notare come sia importante che la fratellanza umana debba procedere coinvolgendo tutte le religioni, un cammino inaugurato dal Concilio Vaticano II e portato avanti dal Consiglio per l’unità dei cristiani e il Consiglio per il dialogo interreligioso. In questa direzione si sta muovendo anche la città di Reggio Calabria, avendo immesso nell’offerta formativa dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose il Corso di Laurea magistrale in Dialogo interculturale e interreligioso nell’area del Mediterraneo; un piano di studi che prevede corsi di lingua araba ed ebraica, mirato ad approfondire le tradizioni monoteistiche, verso la concretizzazione del dialogo fortemente auspicato dal Pontefice.
*docente di Islamistica e lingua araba Issr Reggio Calabria
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