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Ci sono voluti undici anni per vedere definitivamente ristabilita la giustizia. La Corte di Cassazione ha assolto, “perché il fatto non sussiste”, monsignor Leonardo Bonanno, vescovo della diocesi di San Marco Argentano - Scalea, difeso dagli avvocati Giuseppe Falcone e Franco Sammarco dall’accusa di rivelazione del segreto investigativo.
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Bonanno era stato indagato dal P.M. presso il Tribunale di Cosenza, dottor Francesco Cozzolino, per il reato di violazione del segreto investigativo. Quale vicario generale dell’Arcidiocesi di Cosenza - Bisignano, monsignor Bonanno era stato incaricato dall’arcivescovo Nunnari di reperire dei documenti richiesti dalle autorità giudiziarie per un procedimento avviato nel 2008 dalla Procura di Cosenza nei confronti di un sacerdote dell'arcidiocesi bruzia.
Al monsignore venne contestato di aver chiesto a due legali di fiducia di collaborare alla ricerca di detta documentazione, la qualcosa per la Procura cosentina costituiva motivo di reato. L'avviso di garanzia porta la data della consacrazione episcopale di monsignor Bonanno, avvenuta nel Duomo di Cosenza il 25 marzo 2011 e nei giorni successivi il presule è stato interrogato dagli inquirenti.
La vicenda ha turbato il vescovo e i fedeli della diocesi di San Marco Argentano, che hanno sempre mostrato grande stima e fiducia nell'operato del loro pastore; la sentenza di prima istanza è stata emessa nel dicembre del 2015. Nel 2017 l’imputato rinuncia espressamente alla prescrizione dell’asserito reato mentre la Prima sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro conferma la sentenza di primo grado, vietando al presule la possibilità di essere presente e prendere parola nel dibattimento.
Il verdetto definitivo è pertanto, come si è detto, l'assoluzione da parte della Suprema Corte come l'ordine di esibizione da parte della Procura era stato indirizzato all'Arcivescovo - Legale rappresentate dell'Arcidiocesi cosentina, del quale Bonanno è stato un semplice esecutore, come i due legali collaboratori.
Nella parte riguardante più propriamente la legittimità degli atti processuali, la Corte mette sopratutto in evidenza come la citata richiesta di documenti dalla Procura bruzia alla Curia non sia stato un "atto partecipato" dal Bonanno per come richiesto dall'articolo 379 bis del Codice Penale, più volte invocato per motivare inopinatamente la condanna del presule.
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