Avvenire di Calabria

L'intesa siglata questa mattina presso la sala "Monsignor Giovanni Ferro" della diocesi reggina tra l'arcivescovo Morrone e il direttore degli istituti penitenziari Carrà

Reggio Calabria, impegno per i detenuti: intesa arcidiocesi – carcere

La collaborazione tra arcidiocesi reggina e direzione dell'amministrazione penitenziaria prevede la cooperazione per l'utilizzo del laboratorio di marmi dell'Istituto penitenziario per la fornitura di materiale per gli arredi ecclesiastici

di Redazione Web

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Questa mattina, nella sala Monsignor Ferro dell’arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova, è stato firmato un protocollo d’intesa tra la stessa arcidiocesi e la direzione degli Istituti penitenziari di Reggio Calabria (“Arghillà” e “Panzera”), con lo scopo di favorire, attraverso specifici percorsi formativi, opportunità di lavoro tra le persone detenute e, quindi, contribuire al loro reinserimento sociale.

Il protocollo è stato sottoscritto dall’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova e presidente della Cec, monsignor Fortunato Morrone e dal direttore delle carceri reggine, il dottor Giuseppe Carrà.


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L'iniziativa nasce nell'ambito delle attività mirate alla formazione professionale e al lavoro programmate per la popolazione detenuta di entrambi i plessi penitenziari della città di Reggio Calabria.

Arredi ecclesiastici dal laboratorio del marmo del carcere

La collaborazione tra arcidiocesi reggina e direzione dell'amministrazione penitenziaria prevede, tra l'altro, la cooperazione per l'utilizzo del laboratorio di marmi dell'Istituto penitenziario per la fornitura di materiale per gli arredi ecclesiastici.

Il primo atto di questa collaborazione è proprio il protocollo siglato questa mattina presso la sala "Monsignor Ferro", valido per tutte le realtà che ricadono all'interno del territorio diocesano. Prevede, infatti, il coinvolgimento delle comunità parrocchiali e degli altri enti ecclesiastici.

La prospettiva è «estendere le sinergie tra diocesi e carcere anche ad altri ambiti, funzionali ad una migliore offerta di reinserimento nella società da proporre alla popolazione detenuta», ha spiegato il direttore degli Istituti penitenziari reggini, Carrà.

Lavoro, strumento di inclusione sociale

La finalità del protocollo è, infatti, promuovere il reinserimento sociale dei detenuti, attraverso il lavoro, «strumento principale per favorire il processo di inclusione sociale e l'adozione di modelli di vita volti a favorire la risocializzazione».


PER APPROFONDIRE: Pasqua in carcere, l’arcivescovo Morrone: «Il Signore ci sta accanto e soffre con noi»


Dal canto suo, l'arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova, si legge ancora tra le finalità dell'iniziativa, «intende sollecitare l'attenzione di tutta la comunità ecclesiale verso la dolorosa e variegata realtà delle persone ristrette nelle strutture penitenziarie, nella prospettiva di contribuire al cammino di revisione critica del vissuto dei detenuti in una prospettiva di riconciliazione».

Il direttore Carrà: «Formare significa rendere liberi»

«Formare significa rendere liberi e al tempo stesso offrire un'opportunità lavorativa significa rendere liberi, nel senso di offrire una seconda opportunità a chi ha sbagliato», ha spiegato il direttore delle carceri, Giuseppe Carrà. «La formazione e la possibilità di avere un guadagno certo abbassa la recidiva». L'obiettivo, ha aggiunto, è appunto dare la possibilità a questi «soggetti, concluso il periodo di detenzione, di avere un titolo spendibile nel mondo del lavoro e non tornare a delinquere».

«Da parte dell'arcivescovo Morrone e, devo dire, di tutti i sacerdoti, c'è stata massima disponibilità nel voler riaprire a tutti i costi il laboratorio marmi rimasto inutilizzato per dodici anni, tranne la breve parentesi dello scorso anno, quanto abbiamo realizzato i marmi per la costruenda cappella del carcere di Arghillà». Con questo accordo, ancora Carrà, «estenderemo la produzione a tutto il territorio diocesano».

Il vescovo Morrone: «Il protocollo è un primo segnale di umanizzazione»

«Con il direttore del carcere c'è stata un'intesa immediata, nata dal comune sguardo umano su queste persone che vivono la detenzione», ha detto l'arcivescovo Morrone. «Come Chiesa - ha aggiunto - vogliamo dare questo segnale chiaro: la comunità cristiana di Reggio Calabria guarda a queste persone innanzitutto come tali pur non vivendo, attualmente, una condizione "di libertà umana"».

L'intento è quindi «aiutare i detenuti, dando loro la possibilità di ripartire perché il Dio di Gesù vuole questo: che la sua misericordia faccia ripartire la vita di tutti. Dio ha fiducia di tutti i noi e anche noi siamo chiamati a dare fiducia», ha sottolineato il presule.

Questo protocollo è un primo segnale, l'auspicio dell'arcivescovo è che possa avere un seguito attraverso quella che definisce «contaminazione buona». È un segnale di «umanizzazione» che parte proprio dai cosiddetti «ultimi».

Si parte subito da Campo Calabro

Il protocollo d'intesa sarà subito attuato presso la parrocchia di Campo Calabro. I manufatti in marmo che andranno ad adornare il nuovo centro di aggregazione giovanile finanziato con i fondi dell'8xmille saranno, infatti, realizzati dal laboratorio degli Istituti penitenziari di Reggio Calabria.

«Quando il direttore del carcere c'ha prospettato l'idea, ci siamo subito messi in moto e oggi siamo qui per dare avvio a un percorso che speriamo possa portare a raggiungere risultati positivi», ha affermato don Francesco Megale, vicario episcopale per il Laicato, Famiglia, Lavoro e parroco della parrocchia di Campo Calabro. «Ho fatto il cappellano delle carceri per sette anni - prosegue - e conosco bene la realtà che si vive dietro le sbarre e quanto bisogno d'attenzione abbiano i nostri fratelli che vivono in carcere».

«È un bellissimo momento quello che stiamo vivendo sia per il carcere che per la diocesi», il commento di padre Carlo Cuccomarino Protopapa, cappellano delle carceri reggine. «Ho seguito passo passo la riapertura del laboratorio del marmo che ora viene messo a disposizione della nostra diocesi e della comunità», ancora la sua testimonianza. Padre Carlo evidenzia l'elemento positivo legato al progetto e al protocollo: «Obiettivo è perseguire insieme un interesse comune per il bene di queste persone che vivono la reclusione e che adesso hanno un'opportunità in più di riscatto, attraverso un lavoro». Un'opportunità in più anche per chi vive al di qua delle sbarre: «per ricredersi sulla realtà che si vive dentro», conclude il cappellano.

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