Avvenire di Calabria

L'Istat traccia un profilo desolate della decrescita economica dell'area

La Calabria e i calabresi a rischio indigenza

Francesco Bolognese

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Quando c’è di mezzo l’Istituto distatistica non c’è spazio per fantasie o immaginazioni.
I numeri parlano più di ogni altra cosa e non si prestano ad interpretazioni. Esercizio quest’ultimo, invece, alquanto diffuso tra chi è deputato ad amministrare la cosa pubblica, segnatamente le politiche attive del lavoro e quelle sociali. Ma tant’è.
L’ultimissima “infornata” di dati a proposito della povertà è sin troppo eloquente. «Nel 2015 si stima che il 28,7% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale ovvero, secondo la definizione adottata nell'ambito della Strategia Europa 2020, si trovano almeno in una delle seguenti condizioni: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, bassa intensità di lavoro».
Prosegue l’Istat: «La quota è sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%) a sintesi di un aumento degli individui a rischio di povertà (dal 19,4% a 19,9%) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (da 12,1% a 11,7%); resta invece invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate (11,5%)».
Non solo: «la metà delle famiglie residenti in Italia percepisce un reddito netto non superiore a 24.190 euro l’anno (circa 2.016 euro al mese), sostanzialmente stabile rispetto al 2013; nel Mezzogiorno scende a 20.000 euro (circa 1.667 euro mensili)». La povertà non muta longitudini e latitudini.
«Il Mezzogiorno è ancora l'area più esposta: nel 2015 la stima delle persone coinvolte sale al 46,4%, dal 45,6% dell'anno precedente. La quota è in aumento anche al Centro (da 22,1% a 24%) ma riguarda meno di un quarto delle persone, mentre al Nord si registra un calo dal 17,9% al 17,4%».
La “geografia politica” del “rischio di povertà o esclusione sociale” vede “svettare” la Sicilia (55,4%), seguita da Puglia (47,8%), Campania (46,1%), e Calabria (44,2%). Il dato calabrese è in crescita rispetto al 2014, altrettanto dicasi per gli altri indicatori, cioè «il rischio di povertà e la grave deprivazione».
Il quadro è estremamente grave, ma non sorprende più di tanto chi, quotidianamente vive a stretto contatto con chi fatica ad apparecchiare la tavola.
E tra costoro, non solo in riva allo Stretto, ci sono in modo particolare le parrocchie, i centri di ascolto, primo ed autentico baluardo contro una deriva senza precedenti. I “pacchi” per le famiglie con generi di consumo a lunga conservazione sono in crescita esponenziale.
Complice l’avversa congiuntura economica anche il ceto medio ha visto erodere gravemente il potere di acquisto, scivolando tra coloro i quali si barcamenano alla meno peggio per arrivare alla terza settimana del mese.
Tuttavia qualcosa non sembra tornare. A fronte dei dati, quasi uno su due è a rischio povertà, la protesta non monta.
Nei danari facili, in quelli illeciti, nei proventi in nero, c’è verosimilmente la risposta?

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