
I Musei diocesani formano i narratori del futuro
Dal 2021 il Museo Diocesano propone il PCTO Chiese aperte: l’arte racconta, finalizzato alla creazione
L’occasione è data dalla seconda giornata regionale dei Musei di Calabria. Per la prima volta vengono esposte antiche icone orientali, in tutto sette, appartenute alla Chiesa ortodossa e donate al Museo diocesano da due presbiteri, don Antonio Musolino e monsignor Giorgio Costantino. E i visitatori già ci sono, ad appena una manciata di giorni dall’apertura, perché è forte la curiosità che spinge a scoprire i profondi legami - che la mostra evidenzia in tutta la sua bellezza -tra il mondo slavo e un territorio caratterizzato in prevalenza dalla presenza artistica greco-bizantina. Il Museo diventa una sorta di ponte, un luogo di confronto, di dialogo e di scambio interreligioso, rinnovando il suo invito ad “abitare la Bellezza che salva”. A guidare i visitatori c’è Sergej Tikhonov, iconografo e curatore della mostra insieme alla direttrice del museo Lucia Lojacono. Li porta a conoscere i particolari, le curiosità che da studioso ha potuto evidenziare. Ma soprattutto risponde alle tante domande, segno che di queste contaminazioni artistiche e culturali ha tanta sete questa città. «Noi vogliamo fare rete, sarà pure una parola abusata, ma in fondo è questo che serve al nostro territorio» dice Lucia Lojacono, pienamente convinta che l’offerta di “beni culturali” può essere tanto varia a Reggio Calabria da coinvolgere i turisti in un percorso ampio.
Che include anche il museo diocesano. Museo che ormai da tempo ha diretto la sua mission ben fuori da un museo per soli cattolici. È il museo multiculturale, rivolto come è ovvio al credente di oggi, come a quello di ieri, che nella preghiera e nella vita spirituale ha bisogno di essere aiutato dalla visione di opere d’arte che tentino di esprimere il Mistero senza per nulla occultarlo: è questa la ragione per la quale oggi come in passato, la fede è l’ispiratrice necessaria dell’arte cristiana. Lo diceva anche un santo dei nostri tempi, Giovanni Paolo II, che era convinto che «ogni tipo di arte sacra deve esprimere la fede e la speranza della Chiesa. La tradizione dell’icona mostra che l’artista deve avere coscienza di compiere una missione al servizio della Chiesa». E le “icone donate” - questo il titolo della mostra - esposte, recenti acquisizioni di pregio, sono soltanto l’incipit di quello che la stessa direttrice Lojacono e Tikhonov vorrebbero diventasse una sezione, da arricchire nel tempo. Tra le particolarità, troviamo un’opera dal titolo Madre di Dio Gioia di tutti gli afflitti, un’opera che proviene dal mondo russo e a cui è legata anche la tradizione popolare di quei territori. «Per me è una vera sorpresa - dice Tikhonov - aver trovato in Calabria un’immagine della Madre di Dio che è presente nella mia città natale, Mosca».
Una sorpresa perché non ci sono analoghi bizantini e per tal motivo essa ebbe diffusione esclusivamente nel mondo slavo. L'icona originale fu dipinta probabilmente alla fine del XVI secolo e nel corso dei secoli XVII e XVIII conobbe numerose versioni. Il colloquio tra Maria e gli uomini è raffigurato attraverso i cartigli contenenti le invocazioni degli afflitti rivolti alla Vergine, sicuro soccorso del genere umano nelle tribolazioni. «Ci sono gli ignudi, i carcerati, tutte persone che Gesù Cristo ci invita a non scartare, ma aiutare manifestando il Suo amore» ricorda Tikhonov commentando l’icona. I visitatori rimangono colpiti da un’altra opera: si tratta della Madre di Dio dell’Iviron ovvero Madre di Dio Portaitissa, una tempera su tavola, caratterizzata dal rivestimento metallico con decorazioni e pietre, parzialmente dorato, e dalle vesti in stoffa ricamata. L’iconografia scelta in questo caso è quella dell’Odighitria (ovvero di “Colei che indica la via”). Qui la Madre di Dio indica il Figlio Divino con la mano, come l’unica ‘Via di Salvezza’. «Si tratta di una rappresentazione mariana particolarmente solenne - dice l’iconografo Tikhonov -. È la prima volta che vedo questo particolare rivestimento dell’icona che tecnicamente si chiama riza e che copre la parte frontale della stessa lasciando scoperti solo i volti, le mani e i piedi dei personaggi». La scoperta del mondo slavo affascina e colpisce. Se la raccolta, come recita il sottotitolo della mostra, è in itinere c’è da aspettarsi altro, tanto altro.
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