Avvenire di Calabria

È il settimanale cattolico 'Albo reggino' nel 1865 a narrarne minuziosamente la ritualità

La tradizione pasquale delle varette

Renato Laganà

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In prossimità dell’angolo sud orientale adiacente alle mura e vicino all’antica porta Crisafi sorgeva la chiesa di Santa Maria della Melissa, sotto il titolo dell’Immacolata, dove, il 18 gennaio 1520, era stata creata la “Confraternita dell’Oratorio di Gesù e Maria”, «che vestiva il sacco ceruleo nelle processioni». La sua costituzione venne approvata con decreto dall’arcivescovo del tempo Roberto Orsini, romano, rappresentato nella Diocesi dal Vicario Generale, canonico Bernardino Bosurgi. Nella piccola chiesa che misurava «longitudinis palmorum 42 et latitudinis palmorum 24», l’arcivescovo D’Afflitto, in occasione della Visita pastorale del 18 maggio 1599, aveva indicato la presenza di una «confraternitas laicorum». Nel marzo dell’anno 1626 lo stesso arcivescovo concedeva alla Confraternita un terreno per la costruzione della nuova sede dell’Oratorio. In essa erano stati costruiti oltre all’altare maggiore, sormontato da una statua lignea della Madonna, situato nel coro dove erano collocati sui lati i banchi dei confratelli, un altare del Crocifisso ed un altare dedicato a S. Antonio di Padova. L’atrio di ingresso era recintato accogliendo nella piccola corte alcuni alberi ed una cisterna.
Nell’anno 1756 la facciata della chiesa venne rifatta e, a ricordo dell’avvenimento venne murata una lapide. Nell’anno 1777 venne sepolto nella chiesa il canonico cantore del Capitolo reggino Giuseppe Morisani, illustre studioso di storia e di archeologia, la cui lapide è ancora presente nella chiesa ricostruita dopo i terremoti. La chiesa, infatti, ebbe a subire notevoli danni dal terremoto del 5 febbraio 1783 e venne restaurata nell’anno 1791 anche con il contributo dell’arcivescovo Capobianco che da Napoli seguiva i lavori di restauro. Rimase intatto il campanile che era stato costruito nel 1768. Nel marzo dell’anno 1852, la Confraternita avviava la costruzione di «una casa palazziata sul suolo di proprietà dell’oratorio medesimo attaccato alla chiesa dalla parte di oriente» ottenuto a seguito alla regolarizzazione dell’isolato urbano con fronte sulla nuova strada Aschenez. L’edificio, sopravvissuto al terremoto del 1908 è una delle poche testimonianze architettoniche della Reggio ottocentesca. Si completavano intanto i lavori della chiesa che venne ristrutturata e decorata e poi consacrata dall’arcivescovo Mariano Ricciardi il 16 settembre 1858. La nuova struttura edilizia aveva raddoppiato le dimensioni della chiesa precedente ed era sormontata da una cupola che aveva tre finestre semicircolari. Da quanto emerge dalla relazione, stilata in occasione della visita dell’arcivescovo Francesco Converti, nell’anno 1873, il campanile, eretto sul lato di settentrione, era alto circa 50 metri e terminava a guglia. Le vedute della Reggio ottocentesca ci consentono di notare la sua mole che costituiva la struttura più alta della città. Nelle pagine del settimanale cattolico “Albo Reggino” del 16 aprile 1865 si riporta una descrizione della processione delle varette (o barette terminologia un tempo diffusa in Sicilia) sottolineando che «la nostra città deve essere grata alla Confraternita di Gesù e Maria per lo spettacolo religioso che ogni anno, e da tempo immemorabile, le offre nel pomeriggio del giovedì santo, con la processione del Cristo morto e delle altre statue». Tra la folla dei cittadini «e dei villici accorsi da convicini paesi» procedono, accompagnati dalle confraternite «il bel gruppo del Cristo nell’orto con l’ulivo all’aura ondeggiante, e le altre statue così bene esprimenti le varie scene del sanguinoso dramma». Ogni “baretta” è preceduta da «drappelli di graziosi bimbi con le ali e innanzi d’angelo recanti in mano gli emblemi della passione».
Il terremoto del 28 dicembre 1908 rase al suolo gran parte della chiesa a seguito del crollo della cupola che la sormontava e del campanile. Venne costruita una chiesa baracca dove la Confraternita riprese la sua attività. Negli anni successivi al terremoto la tradizionale processione venne sospesa, ma la devozione alle “barette” permaneva come testimoniato nelle pagine del settimanale cattolico “Reggio Nuova” che così riportava «Giovedì Santo molta gente si recò a visitare i Sepolcri costruiti bellamente nelle principali chiese della città, e specialmente la devota esposizione delle sacre Statue delle antiche Barette, fatta nell’Oratorio di Gesù e Maria, mentre sull’altare maggiore spiccava la scena della Samaritana». Nell’anno 1933 l’ingegnere Gino Zani, su incarico della Confraternita, redigeva il progetto per la costruzione della nuova chiesa, approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici l’anno successivo con l’erogazione anche di un congruo contributo. Il 29 novembre 1936, l’arcivescovo Carmelo Pujia apriva al culto la nuova chiesa.
L’itinerario della processione delle “barette”, dopo la ricostruzione, era stata adattata ai nuovi percorsi viari della trama urbana a scacchiera. Nel 1939, come si rileva da un documento conservato presso l’Archivio Diocesano, l’itinerario si sviluppava tra la via Aschenez, la via Palamolla, la Via Tripepi, la piazza De Nava, il Corso Garibaldi, la piazza Vittorio Emanuele, la via Miraglia, la via Plutino, la piazza Genoese, la via Gullì, il Corso Garibaldi, la Via San Filippo, la piazza del Duomo, il Corso Garibaldi, la via Logoteta e la via Crisafi. Nel 1949 l’architetto Francesco Albanese veniva incaricato a redigere un progetto per la decorazione della chiesa che era stata danneggiata nel corso dei bombardamenti anglo americani del maggio – giugno 1943. Altri progetti furono in seguito redatti dall’ingegnere. Guido Tripepi (1965) e dall’architetto Dante Tassotti (1966). I lavori furono poi eseguiti tra il 1969 e il 1970 e, in seguito arricchiti dalle opere dello scultore Pasquale Panetta collocate nell’area presbiteriale, solennemente inaugurate dall’arcivescovo Giovanni Ferro il 10 aprile 1975.
Nella nostra Diocesi, la tradizionale processione delle Varette del Giovedì Santo è stata differita da alcuni decenni al Venerdì Santo e unificata con la Via Crucis che si tiene partendo dalla Basilica Cattedrale e facendovi ritorno attraverso un percorso che ricalca parte dell’antico.

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