Avvenire di Calabria

Un viaggio storico–ecclesiale per conoscere meglio l’opera che l’anno prossimo sarà sottoposta a restauro

La Vara di Reggio, oltre quattro secoli di storia e fede

La macchina processionale fu impreziosita nel 1693 anche grazie a un’ingente colletta popolare della città

Renato Laganà

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La prima descrizione dell’apparato mobile per il trasporto processionale del venerato quadro della Madonna della Consolazione la troviamo nei “quadretti storici” redatti da monsignor Antonio De Lorenzo nel 1885. Riferendosi a quell’avvenimento che fu definito «il trionfo di Reggio e il trionfo di Maria» dell’anno 1693, data di inizio delle festività settembrine, che aveva visto la città di Reggio subire pochi danni per il sisma che distrusse Catania con gran parte della Sicilia orientale, fa riferimento a «un’artistica decorazione del Quadro, la quale desse buona vista nelle processioni». Con il denaro raccolto con una colletta pubblica fu costruita «un’elegante base di legno a vernice d’argento e d’oro» che sorreggeva una «prima ricca cornice d’argento, a doppia faccia » sulla quale fu posta una «serica cortina purpurea con ricami d’oro», donata dal Capitolo della Cattedrale e dal clero reggino. In quella occasione l’amministrazione cittadina offrì due corone d’argento da porre sul capo della Madonna e del Bambino, poi sostituite, sino al 1722, da corone auree offerte dalla nobildonna reggina Francoperta, duchessa di Precacore. Nel 1854, la parziale diffusione del contagio del colera, che a Messina aveva provocato migliaia di vittime, venne ancora interpretata come segno di protezione della celeste patrona. La popolazione, come segno di riconoscenza, volle migliorare la vara e le offerte raccolte furono tali «che se ne poté costruire un argenteo padiglione a cupola, sostenuta da somiglianti colonne, sotto la quale era campato nelle processioni il Quadro». Di essa Enzo Zolea, in un saggio pubblicato sulla “Stanga” (2004– 05), periodico dei portatori della Vara, parla di «un’opera mastodontica che poi, nella fase dell’assemblaggio dei vari elementi è risultata disequilibrata e quindi poco trasportabile ». Ciò era confermato anche nei contenuti che lo Spanò Bolani inviò all’Intendente il 7 marzo 1860 in cui definiva l’apparato viziato dalla «pesantezza della forma architettonica e per il rimarchevole disequilibrio [che] rendono quella male atta allo scopo». Era certamente una vara adatta alle strade urbane e poco gestibile nel disagevole percorso nella vallata della fiumara Caserta. La storica dell’arte Maria Teresa Sorrenti, nel 2008, indagando tra i documenti dell’archivio comunale, è risalita all’epoca in cui il Decurionato cittadino, nella seduta del 19 gennaio 1860, deliberava di «riformarsi la predetta Macchinetta o Tempietto» nominandosi contestualmente una commissione per predisporre un «progetto per sostituire al detto tempietto altro ornamento da farsi coll’argento del medesimo» attraverso «un disegno di migliore forma, ornato e proporzione». Esso fu redatto dal-l’artista Carlo Sangallo che propose le linee dell’attuale apparato. Sulla struttura lignea, predisposta per il trasporto a spalla per mezzo di barre lignee, poggia una cornice d’argento, racchiudente il venerato quadro. Essa è incastonata tra due alte volute modellate con foglie di acanto su cui si appoggiano due angeli che sorreggono il velario a cortina poggiato sui due lati su volute e sormontata dallo stemma della città tra due volute lineari. Il tutto termina in alto «con una grande corona con manipoli di grano, palmette, volute e festoni con fiocchetti» (Rosa Dattola Morello, 1988). Sul retro una cornice argentea racchiude un pannello in legno di ebano sul quale è poggiato un grande monogramma argenteo della Vergine Maria, dal cui centro si dipartono cinquanta fitti raggi, racchiuso in una ghirlanda di rose su cui poggiano due figure di angeli a sbalzo che sorreggono una corona e un cartiglio con la scritta “Ave Mater Consolationis”. Nei quattro angoli, cespi floreali sbalzati in lamina argentea, completano la decorazione. L’artista aveva riutilizzato sul retro la decorazione realizzata nel 1722, come indicato da monsignor De Lorenzo, per il precedente apparato. Lo studio accurato dei punzoni sulle lamine d’argento, eseguito dalla Sorrenti, ha consentito di verificare le datazioni precise delle altre parti rilevandosi che, nella fascia mediana della cornice, «ricorre in più punti il monogramma VS dell’argentiere unitamente alla Bulla del Consolato di Messina e al punzone del console DM e la data 1818, inscritti in campo rettangolare». Inoltre, dalla documentazione d’archivio, è possibile rilevare che, nell’anno 1836, il Decurionato della città di Reggio, per ringraziare la Madonna della Consolazione, dello scampato pericolo per il terremoto del maggio 1835, aveva commissionato all’orafo messinese Luigi Auteri l’esecuzione di una cornice d’argento sui lati e sul retro dell’apparato. Il disegno del Sangallo, che includeva nel nuovo apparato le parti decorative realizzate in precedenza, veniva attuato nel 1864 quando fu conferito, all’imprenditore Emmanuele Pugliesi di Catania, l’incarico per la realizzazione dell’opera che venne completata nel novembre dello stesso anno. Non bastando l’argento disponibile si decise di realizzare i due angeli in rame la cui superficie venne impreziosita con foglia d’oro fornita dallo stesso Comune di Reggio. A completare la vara si aggiunsero poi nel 1885 due coppie di candelabri in argento (oggi custodite presso il Museo diocesano), dei quali i due sorretti da angeli sono opera dell’orafo napoletano Vincenzo Catello.

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