Avvenire di Calabria

L’analisi di Confprofessioni Calabria sulle nuove emergenze legate al mondo del lavoro calabrese

Lavoratori ma poveri: working poor, la nuova emergenza sociale in Calabria

La proposta per superare le criticità: C’è bisogno di una rivoluzione partendo dalla formazione

di Massimiliano Tavella

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Il recentissimo rapporto Svimez segnala per il 2023 il rischio di una contrazione del Pil nel Mezzogiorno dello 0,4%, con la Calabria addirittura in recessione, conseguenza della flessione dell’indice di ricchezza di circa un punto percentuale (0,9%). Uno scenario di certo molto preoccupante che andrà a minare ulteriormente il fragile tessuto economico di una regione a forte rischio povertà.


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Ormai in Calabria, a nostro avviso, per comprendere il problema del lavoro, basarsi sulla semplice analisi dei tassi di disoccupazione/occupazione potrebbe avere un effetto fuorviante rispetto alla drammaticità della questione. In effetti, dai dati diffusi dall’Istat nei giorni scorsi, si rileva che sul piano nazionale rispetto al mese precedente, a ottobre 2022, il tasso di occupazione sale al 60,5% (valore record dal 1977), quelli di disoccupazione e inattività scendono rispettivamente al 7,8% e al 34,3%. Ma chi vive ed opera in Calabria non può ignorare le peculiarità territoriali che caratterizzano il mercato del lavoro.

Mi riferisco soprattutto alla pericolosa diffusione del cosiddetto “lavoro povero”, che investe in Italia il 13% degli occupati, rappresentando nel Mezzogiorno circa il 20% degli occupati locali, contro circa il 9% del Centro-Nord. I working poor, cioè coloro che, pur avendo un’occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo, dell’incapacità di risparmio, rischiano di diventare nella nostra regione una bomba sociale pronta ad esplodere.

Appare evidente che l’approccio delle istituzioni rispetto alle problematiche generali che si prospettano dovrà essere improntato sul necessario coordinamento tra la politica di coesione, comunitaria e nazionale, e il Pnrr al fine di evitare sprechi di risorse con interventi frammentati ed inutili.

Di certo il Reddito di cittadinanza è stato un formidabile “ammortizzatore sociale” (in senso a-tecnico) che ha permesso, tra le altre cose, a molti soggetti a rischio di liberarsi dall’aberrante schiavitù del bisogno che ha costretto migliaia di persone ad accettare proposte di lavoro umilianti ed indignitose. Ma è altrettanto vero che, al netto dei riprovevoli comportamenti dei cosiddetti «furbetti del RdC» non appare tecnicamente possibile pensare di considerare il Reddito di cittadinanza un intervento di inclusione sociale e allo stesso tempo regolamentarlo come uno strumento di politica attiva del lavoro.

Le condizionalità circa il mantenimento del sostegno economico previste dalla norma istitutiva sono clamorosamente naufragate nella disorganizzazione assoluta dei Centri per l’impiego, al contrario è stata creata una nuova sacca di precariato con i Navigator che oggi reclamano il proprio diritto al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato e conseguente stabilizzazione.


PER APPROFONDIRE: Cec, vescovi calabresi a confronto su giovani, lavoro e formazione dei futuri presbiteri


La Calabria ha bisogno di una rivoluzione culturale che, partendo dalla formazione, possa consentire ai giovani di superare le naturali barriere presenti tra essi ed il mondo del lavoro e garantire tutela a chi il lavoro lo ha perso attraverso adeguate politiche di reskilling.

* delegato lavoro e formazione Confprofessioni Calabria

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