Avvenire di Calabria

Luoghi ben allestiti in cui riscoprire l’immaterialità dell’arte

Le potenzialità dei Musei diocesani

Una riflessione di Domenica Primerano Presidente Amei (Associazione musei ecclesiastici italiani)

Redazione Web

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L’11 e il 12 luglio a Nusco si è svolto il convegno «I musei parrocchiali della Campania. Potenzialità, problematiche e prospettive». L’esperienza è stata intensa, e per certi versi faticosa, ma davvero utile: la visita ha confermato che anche al sud i musei ecclesiastici sono ben lontani da quell’assurdo stereotipo che ancora perdura nell’immaginario collettivo a proposito dei musei ecclesiastici. Non vi sono musei polverosi simili a sacrestie dismesse, ma luoghi ben allestiti e curati, per lo più di dimensioni contenute, con collezioni che possono vantare opere straordinarie oppure oggetti seriali, capaci tuttavia di raccontare con grande dignità «l’evolversi della vita culturale e religiosa» della comunità locale, come raccomanda la «Lettera circolare sulla funzione pastorale dei musei ecclesiastici» emanata nel 2001 dalla Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa.

Il valore aggiunto di queste realtà è la passione di chi le gestisce o dirige, una costante che da nord a sud caratterizza la comunità museale. Certo, spesso i musei non hanno un adeguato sostegno economico; pertanto, ogni attività di valorizzazione e promozione del patrimonio diventa un vero e proprio percorso ad ostacoli. D’altro canto, un museo non è un deposito attrezzato, una semplice esposizione più o meno riuscita di opere conservate in vetrina. Un museo è ben altro, come ricorda la già citata Lettera del 2001, che raccomanda siano attivate iniziative «di promozione e di animazione culturale per lo studio, la fruizione, l’utilizzazione dei beni musealizzati» al fine di «rileggere organicamente e rivivere spiritualmente la storia della Chiesa di una particolare comunità che ancora vive nel presente». Così, alla mancanza di mezzi, spesso si sopperisce come si può, inventando nuove strategie, stringendo alleanze, coinvolgendo attivamente i volontari e i giovani.

È appunto un’associazione di sette giovani guidata da Cecilia Perri, «Insieme per camminare», a gestire il Museo diocesano e del Codex di Rossano, recentemente riallestito per esporre con adeguate modalità museografiche il famoso Codex Purpureus Rossanensis, riconosciuto nel 2015 patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Il vescovo monsignor Giuseppe Satriano ha affidato la gestione del museo all’associazione con a capo la Perri. Anche il Museo diocesano di Cosenza, inaugurato nel 2013, ha il suo ‘pezzo forte’: la preziosissima stauroteca del XII secolo forse donata da Federico II di Svevia in occasione della consacrazione della Cattedrale nel 1222. Il direttore, don Salvatore Fuscaldo, è un fiume in piena: ha molti progetti per questo museo, anche sul contemporaneo, un tema che dovremmo affrontare con maggior convinzione. Infine, il Museo diocesano «Monsignor Aurelio Sorrentino» di Reggio Calabria, aperto nel 2010 e allestito per temi: il “Tesoro delle Cattedrali”, il “Culto dei santi”, il “Vescovo Sponsus Ecclesiae”, la “Celebrazione del sacrificio eucaristico”. La direttrice, Lucia Lojacono, ne è l’anima e la custode. Non è una metafora: nel Museo lavora solo lei! Apre, accende le luci, fa i biglietti, controlla che i visitatori non facciano danni e insieme studia, cataloga, progetta, tesse relazioni. Che dire? Una donna straordinaria!

I Musei calabresi che fanno capo alle diocesi locali sono dodici: preme ricordare ai vescovi che li hanno fondati che questi istituti non sono semplici luoghi di conservazione. Non esauriscono il loro compito nell’aver messo in salvo un patrimonio in pericolo. Sono spazi strategici, con potenzialità che ancora si fatica a comprendere. Sono ‘luoghi di contatto’ dove anche chi non crede può stabilire una relazione intima, profonda, con la dimensione ‘altra’ che l’opera d’arte sacra evoca. In una società che tende ad accantonare la spiritualità e a concepire la cultura come semplice intrattenimento, un museo ecclesiastico può favorire la riflessione, il ‘contatto’ appunto con la dimensione immateriale che connota e accomuna il patrimonio che custodisce. E non è poco.

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