Avvenire di Calabria

Molti però hanno preferito allontanarsi, da soli, con la bicicletta

Le ruspe a San Ferdinando, ma restano gli ”invisibili”

Toni Mira

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Alle 8,40 si muovono le ruspe del genio militare. Alle 8,46 crolla la prima baracca. È l’inizio dello smantellamento della baraccopoli di San Ferdinando, 'non luogo' di emarginazione e degrado, dove in poco più di un anno sono morti bruciati tre giovani immigrati. Alla fine della giornata un terzo delle baracche è raso al suolo, ma l’insediamento non è ancora vuoto. Come fa sapere il Viminale, 300 immigrati ci passeranno la notte. Infatti solo 347 hanno trovato una sistemazione: 274 nella nuova tendopoli a poche decine di metri dalle baracche, mentre appena 73 hanno accettato il trasferimento nei Cas e negli Sprar. Nella nuova tendopoli sarebbero ancora disponibili 176 posti, insufficienti per i 300 rimasti nelle baracche. Dove andranno? Forse a raggiungere quelli che si sono allontanati autonomamente, cercando non lontano qualche soluzione abitativa, magari abusiva. Sono le domande alla fine di una giornata campale ma senza tensioni o violenze, grazie soprattutto alla grande professionalità e pazienza delle forze dell’ordine, coordinate dal questore di Reggio Calabria, Raffaele Grassi, molto soddisfatto del risultato. «Dovevamo intervenire per mettere fine a una situazione disumana ma anche per eliminare alcune attività illegali. E lo abbiamo fatto bene». Positivo anche il commento del prefetto Michele di Bari. «Si sta coniugando il concetto di legalità a quello di umanità. Per la settimana prossima ho già convocato una riunione in prefettura perché quelle misure che abbiamo invocato, anche con la Regione e la Città Metropolitana, quanto prima possano essere attuate». È, si spera, il domani, ma oggi va di scena lo sgombero. Le operazioni sono cominciate poco dopo le 7. Circa 900 uomini in campo, tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e servizi sanitari. Oltre a protezione civile e della Caritas. Diciotto pullman sono pronti per trasferire i braccianti ancora presenti, circa 600. Ma pochi partono. C’è chi ancora sta lavorando, chi deve ancora ricevere la paga, chi sta rinnovando i documenti o è in attesa della domanda per il permesso di soggiorno. Andare lontano renderebbe tutto più complicato. Le ruspe cominciano a smantellare dalla zona dove è scoppiato l’ultimo incendio del 16 febbraio, nel quale è morto il giovane senegalese Moussa Ba. Ma prima dell’intervento dei mezzi meccanici alcuni uomini di una ditta specializzata, con tute bianche, mascherine e perfino respiratori, bonificano l’area dalle tante lastre d’amianto che gli immigrati hanno utilizzato per costruire le baracche. Per anni l’hanno respirato e nessuno si è preoccupato. Poi tocca ai grandi mezzi militari. Si va avanti rapidamente, anche perché le baracche di questa zona sono in gran parte di plastica e legno. Ma una ruspa si ferma. Sotto i teli di plastica blu di una grande baracca è tutto amianto. E devono intervenire nuovamente gli esperti in tuta bianca. Intanto all’ingresso dell’insediamento si discute tra immigrati, forze dell’ordine e operatori. Non c’è tensione ma non tutto è chiaro. Alcuni ragazzi si stanno allontanando da soli col trolley o lo zaino. Pochi raggiungono i pullman. Tantissimi, più di trecento, sono in fila per entrare nella nuova tendopoli, dove sono state installate altre 40 tende. Un altro centinaio sono invece seduti davanti alla baraccopoli, ancora indecisi se accettare le destinazioni proposte. In serata un gruppo di immigrati partecipa alla celebrazione delle ceneri nella parrocchia di S. Antonio in contrada 'Il bosco' di Rosarno. È stata portata anche la croce di metallo che si trovava nella baracca-cappella, anch’essa destinata all’abbattimento. E il parroco don Roberto Meduri, così come don Nino Massara, parroco di San Giuseppe a San Ferdinando, ha utilizzato le ceneri dell’ultimo incendio della baraccopoli, unite a quelle delle palme. Perchè oggi non si può non fare memoria.

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