Avvenire di Calabria

Il punto sul Sinodo diocesano dei Giovani

Le sfide saranno vinte se affrontate «insieme»

Redazione Web

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di Giorgio Sottilotta - «Insieme»: mi cattura da subito la lettura di questa parola, che già dal titolo caratterizza la lettera scritta da padre Giuseppe ai giovani.
«Ripartiamo insieme» da un’esperienza significativa per la diocesi: il Sinodo dei Giovani, tanto voluto dall’arcivescovo e dai noi subito ben accolto.
Ci siamo messi in cammino, abbiamo percorso passi nuovi su strade antiche, quelle di una Chiesa che nasce per non rimanere ferma, ma per assumere la forma di una «tenda», da piantare dove c’è più bisogno, aperta al mondo e alle sue sfide. Come giovani abbiamo sperimentato questa «forma» di Chiesa e l’abbiamo vissuta nelle parrocchie, nelle case, nelle aule dell’università, negli ambienti di lavoro, per le strade.
Ci siamo messi in discussione e abbiamo dialogato molto su: «Famiglia e affettività», «Cittadinanza e partecipazione», «Valori e fede». Ma ora da cosa ripartire? Come ripartire?
Sono le domande iniziali di una lettera che ha tutto il sapore di un incoraggiamento paterno, volto a dare una spinta, a ridare entusiasmo e anche costanza, per portare avanti un impegno concreto e «vitale» di ecclesialità.
Da cosa ripartire, dunque?
Probabilmente proprio dalla «forma»! Da giovane che ha vissuto il Sinodo non posso non ripensare a quella «tenda» che è stata – e continua ad essere – la Chiesa diocesana, capace di farsi itinerante. «Il cammino intrapreso deve continuare a vivere nei nostri quartieri, nelle nostre comunità parrocchiali, per le strade delle nostre città».
Si riparte dunque, dall’uscita stessa. Sembra tautologica come affermazione, ma proprio in virtù della sua ovvietà sembra portarci proprio a ciò.
Il papa stesso, nella lettera del 13 gennaio, in occasione della presentazione del Documento preparatorio della XV Assemblea Generale del Sinodo dei vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», consegna ai giovani la figura di Abramo, a cui Dio dice: «Vattene!».
Ma verso dove Dio ha invitato Abramo ad andare? A scappare? A cercare fortune altrove? No!...Ad Abramo, Dio ha detto «Lek lekà» che con una traduzione letterale dovremmo tradurre «Va’, verso te stesso!».
Ecco allora, che tutto prende una direzione: se stessi; ma non nel senso di un ripiegamento egoistico, no! Si tratta di ripartire da quella «periferia esistenziale» che io stesso sono, nella mia fragilità, nella mia incapacità di rispondere da cristiano alle sfide, nel mio non riuscire sempre ad essere saldo nella fede, con la diretta conseguenza di conformarmi alla mentalità di questo mondo. E dopo aver preso consapevolezza di ciò, si tratta di andare avanti verso una direzione, quella che porta a conformarmi sempre di più a Cristo. Ed è allora, quando quest’ultimo tipo di con– formazione diventa primario che da cristiani, da Chiesa, capiamo che siamo usciti per percorrere la strada maestra la strada del «Maestro»: «è necessario allora ritornare alla formazione, che ci confrontiamo, con verità ed onestà sui grandi temi» su cui è necessario sentirci discepoli (perché, da giovani, abbiamo ancora tanto da imparare) ma anche apostoli (perché, da battezzati, abbiamo ancora tanto da annunciare).
«Conosco la vostra sensibilità verso i temi della legalità, della difesa dell’ambiente, dell’anti ‘ndrangheta, del lavoro, della giustizia sociale, della corruzione – scrive il vescovo – […] ma nella vita non esistono solo questi temi e la formazione non può riguardare soltanto questi settori, pur fondamentali». Da approfondire e da non fuggire sono anche quei temi che, come giovani cristiani, spesso accantoniamo perché ci mettono subito in discussione: l’affettività, l’ideale cristiano della sessualità, i «per sempre» che per paura rimandiamo (dal matrimonio alla scelta di vita consacrata), il coraggio di testimoniare i valori in cui crediamo senza essere schiavi del timore di risultare bigotti o poco aperti di mentalità.
Su questo e su molto altro necessitiamo di quel «Lek lekà», al quale padre Giuseppe con questa lettera ci invita, per smuoverci dal torpore e «metterci in formazione», insieme, non per giocare in difesa, ma come centravanti, da «compagni dell’uomo» e «testimoni dello Spirito» (don Tonino Bello).

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