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La Chiesa celebra oggi l'Epifania del Signore. È il giorno in cui si è manifestato al mondo tramite la testimonianza di tre personaggi, giunti da lontano alla grotta di Betlemme: i re Magi. Proprio partendo dalla figura dei tre Re Magi, vi proponiamo una riflessione di papa Benedetto XVI tratta dall'omelia tenuta in occasione dell'Epifania del Signore del 6 gennaio 2013, l'ultima presieduta da Vescovo di Roma.
«Per la Chiesa credente ed orante i Magi d'Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia».
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Come i pastori «personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù - diceva Benedetto XVI - così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui».
La Chiesa, ancora papa Benedetto XVI, chiama questa festa "Epifania", «la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini».
La fede, evidenziava l'allora Pontefice, «ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore». In questo pellegrinaggio, proseguiva, «il vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore». Ma, come pellegrino di Dio, «dev’essere soprattutto un uomo che prega».
I Magi, continuava Ratzinger, «erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede». Ci voleva «del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire» ed è facile «immaginare» che la loro decisione «abbia suscitato derisione».
Ma «la ricerca della verità - spiegava l'allora Papa - era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente». Allo stesso modo, «l’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo».
Infatti, «l’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri». Perciò, «il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un vescovo». Egli «dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti».
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Il timore di Dio «libera dal timore degli uomini. Rende liberi!». L’approvazione delle opinioni dominanti, ha ribadito Benedetto XVI, «non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo».
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