Avvenire di Calabria

Proprio alle prime luci di Pasqua al porto di Reggio si è assistito, anzi ci si è lasciati coinvolgere dall’ennesimo sbarco

L’Esodo pasquale e gli attuali esodi di sopravvivenza

Redazione Web

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di Bruno Mioli - Proprio alle prime luci di Pasqua al porto di Reggio si è assistito, anzi ci si è lasciati coinvolgere dall’ennesimo sbarco sulla banchina di levante.
Esodi della sopravvivenza: così possiamo chiamare i persistenti sbarchi, anche qui tra noi, di tanti disperati provenienti in prevalenza dal Centro Africa, che con parola neutra chiamiamo immigrati, con parola benevola di sapore evangelico chiamiamo fratelli e con parola aspra, purtroppo mista a una certa acredine, taluni chiamano clandestini, anche se clandestini proprio non sono e vengono raccolti in acque che non sono clandestine, perché da sempre le chiamiamo “Mare nostrum”.
Parlare di esodo ha un senso ben preciso, per i suoi tanti richiami biblici: il messaggio di Dio ad Abramo “Esci dalla tua terra e va” ha dato origine all’esodo di colui che chiamiamo “nostro Padre nella fede” assieme il popolo dell’Antica Alleanza; ha dato origine per questo popolo al passaggio del Mare Rosso a piedi asciutti e alla sua itineranza forzata per 40 anni nel deserto verso la Terra Promessa, come ci racconta nei dettagli il libro dell’Esodo; esodo forzato è stata pure la ripetuta deportazione di Israele nella terra di Babilonia e la conseguente sua diaspora o dispersione in tutto il mondo allora conosciuto, dispersione così preziosa e provvidenziale per il successivo diffondersi del Popolo della Nuova Alleanza. Gesù stesso inserisce tutto il suo percorso da Betlemme al Calvario in un grande esodo: “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e ritorno al Padre” (Gv 16. 28). Di questo imminente “esodo” che “Gesù avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9, 31) stavano parlando Mosè ed Elia “sul Monte santo”, come ricorderà Pietro dopo tanti anni, ancora con un fremito di nostalgico stupore (2 Pt 1, 16). Gesù dunque incarna in se stesso ossia realizza nella forma più piena e definitiva quanto è stato prefigurato col passaggio dell’Antico Popolo di Dio dalla terra di schiavitù alla Terra Promessa. Del resto, già da bambino egli aveva sperimentato un esodo, anzi una fuga precipitosa e notturna in Egitto, assumendo e ricapitolando così in sé stesso la fondamentale esperienza del suo popolo (Mt 2, 15).
Non diversamente ora egli continua ad assumere e ricapitolare in se stesso l’avventuroso dramma non di migliaia o di decine di migliaia, ma di milioni e decine di milioni di migranti. Anche queste migrazioni – ci suggerisce la fede - rientrano nel “disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Ef 1, 10) e, osiamo aggiungere, quelle del mare. Anche le creature approdate al primo mattino di Pasqua al nostro porto: 649 fra uomini e donne, di cui circa duecento minori, alcuni di tenerissima età o ancora lattanti e molti non accompagnati. Un giornalista che era a bordo durante la traversata del Mediterraneo ha potuto raccogliere le loro prime confidenze, i primi sfoghi sulle “difficoltà, torture, detenzioni, schiavitù, stupri” e mostrare le piaghe, vere lacerazioni, che hanno subito in Libia, terra di nessuno, anzi terra di sfruttatori e aguzzini, di bande armate capaci di tutto. Dopo lo sbarco e una prima identificazione da parte delle forze dell’ordine, si sono adagiati per terra estenuati com’erano e vinti dall’insonnia, per cui poche parole da parte nostra o solo il gesto di offrire qualche dissetante, succo di frutta o morbido cornetto.
Seicentoquarantanove: è una massa imponente, cui si sono aggiunti altri 79 approdati direttamente sulle coste di Melito Porto Salvo e subito trasferiti con due pullman a Reggio. Si giunge a 8.300 se si sommano tutti gli sbarchi sulle coste di Sicilia e Calabria durante il triduo pasquale; a oltre 35.000 se il computo parte da gennaio 2017; e si sorpasserebbe anche questa quota se si aggiungessero i circa 700 che non ce l’hanno fatta e si sono inabissati nel Mare Nostrum.
Pasqua di morte per loro. Non per i più piccoli che, fortunatamente ignari di quanto stava accadendo, mostravano tanta voglia di sentirsi vivi e di giocare. Se ne è accorta una suora di colore che, vedendo tre bambine adagiate presso le loro mamme sature di stanchezza, chiese con cenni il loro consenso di prelevare le tre bambine e, sotto il loro sguardo compiaciuto, non cessava di fare il girotondo, di scherzare e giocare. In quale lingua? Solo quella del cuore. Sono i bagliori di una Pasqua di Risurrezione.

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