Avvenire di Calabria

L'accoglienza dei clochard a Palazzo San Giorgio ennesimo atto di solidarietà e servizio dei volontari della diocesi di Reggio Calabria - Bova

L’impegno silenzioso della Chiesa reggina verso gli «abbandonati»

Redazione Web

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di Giorgio Gatto Costantino - C’è una rete formata da mille fili intrecciati che si estende nel sottobosco della città. “Steli d’erba” essiccati e schiacciati dal calpestio frettoloso e distratto, che si macerano sui marciapiedi in mezzo alla spazzatura o negli androni dei palazzi adibiti a ricoveri di fortuna. Sono quegli “invisibili” che improvvisamente, grazie all’azione più che meritoria dell’amministrazione comunale che ha aperto le porte di palazzo San Giorgio nelle freddissime notti di fine vacanze, hanno goduto di un’improvvisa quanto non cercata (da loro) epifania mostrando il volto più nascosto dell’umanità dolente. L’iniziativa dell’amministrazione comunale è stata la risposta al pressante appello dell’help center “Casa di Lena” della Caritas che dal suo osservatorio privilegiato della stazione centrale ha lanciato l’allarme sui troppi senzatetto letteralmente al rischio di assideramento. E così dopo i primi febbrili contatti fra i responsabili diocesani e quelli comunali una parte dei corridoi e degli uffici del palazzo sono stati riconvertiti in dormitori e refettorio mentre altri volontari del “coordinamento diocesano emergenza sbarchi” cominciavano a percorrere le strade della città per cercare e invitare i senzatetto a palazzo San Giorgio. Le porte sono rimaste aperte a lungo al Comune e dopo gli homeless sono arrivati anche… i re magi. Ben più di tre e con doni aggiornati. Invece di oro, incenso e mirra, sono arrivati coperte, vestiario, dolci e cibo. In quantità spropositata. Ma quei “re magi” sono stati un’eccezione? Decisamente no. Esiste una realtà che vive tutto l’anno in mezzo a grandi difficoltà, senza clamore e con pochissimi mezzi (spesso rotti). È la rete caritatevole della diocesi operativa “h 24”, mille volte al giorno negli angoli più reconditi di un territorio vastissimo. Dalle periferie disperate di Arghillà e dei centri preaspromontani ai sottopassi delle stazioni e del lungomare. Pane portato a domicilio, dove per domicilio spesso si intende una baracca o un sottoscala dove vive la carne umana in scatola. Lì vanno i volontari della mensa di strada coprendo a fatica due turni settimanali perché bisogna fare i conti con gli impegni di lavoro e di famiglia. Base di partenza la chiesa di San Giorgio Extra dove opera una delle mense diocesane e dove la chiesa stessa almeno una volta si converte in mensa con i tavoli al posto dei banchi e i preti diventano camerieri. Come quella di San Giorgio quante altre mense ci sono? Lì dove non c’è una mensa ci sono altri servizi all’ombra di campanili come il “cesto della carità” sempre presente nei pressi dell’altare ad Arangea poco distante dalla stanza dove i volontari accumulano vestiario e calzature per Reggio e per l’ex Jugoslavia. E l’emporio di Genezareth? Un’altra creazione della Caritas pensata per distribuire generi alimentari a famiglie bisognose. Per i senzatetto l’unica struttura di prima accoglienza sempre aperta è al seminario diocesano che si allarga sempre più per non chiudersi a nessuno. Poco distante la casa delle suore di Madre Teresa di Calcutta, sempre a Modena, accoglie quelli che vengono dopo gli ultimi, i “paria” della nostra società. E mentre nel pollaio di facebook ci si dilania sui massimi sistemi, “Filoxenia”, un apposito protocollo promosso sempre dalla diocesi ha dato da dormire a sessanta minori in case riscaldate e diffuse senza creare tensioni, integrando i migranti con i residenti. I medici cattolici raccolgono e distribuiscono medicine e nei lunghi corridoi degli ottimati l’ambulatorio sociale cura nevralgie e patologie di tutti i tipi. La lista potrebbe continuare per altre tre pagine e le cose fatte sono enormemente maggiori di quelle scritte. Spigolature di solidarietà che hanno un’unica matrice: la diocesi reggina che ha un pastore (l’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini) e una ecclesia formata da mille pecore che messe assieme danno vita a diecimila associazioni perché nella necessità quotidiana di tenere aperte le braccia, ogni giorno cambiano forma e posizione per adattarsi alle esigenze più diverse senza discriminare fra residenti o stranieri, bianchi o neri. Semplicemente “si versa il vino e si spezza il pane per chi dice ho sete ho fame”.

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