Avvenire di Calabria

I dati sulle giocate del 2016: «bruciati» 122 milioni

L’impero dell’azzardo, Reggio è maglia nera

Federico Minniti

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Un’emergenza sottaciuta. Accanto ai numeri (spaventosi), ci sono le storie. Tante, troppe; messe forzatamente agli angoli della cronaca, con il laconico commento del «è andata a cercarsela». Se la “dose” era diventata lo spauracchio degli anni ‘90, oggi le videolottery non fanno paura più a nessuno. Eppure dalla notte dei tempi criminali, l’azzardo risulta essere come una delle principali forme di approvvigionamento illecito delle mafie. E di indebitamento delle famiglie. Gli ultimi dati forniti dal Gedi ne sono la trasposizione numerica di un fenomeno che non manca di aver fornito decine di casi di attualità. Tutti caduti nel dimenticatoio.

Così il macrotema delle dipendenze è uscito dall’agenda mediatica seppure i numeri dei giovani tossicodipendenti non dimi- nuisca, menchemeno quello dei ricoveri per stato d’ebbrezza. A questo si è aggiunta una nuova consapevolezza che anche il gioco d’azzardo, laddove diventa patologico, è una malattia. A sancirlo è l’entrata nei Lea, livelli essenziali di assistenza, del Ministero della Salute. Una consapevolezza, appunto, che però non ha trovato corrispondenza nell’azione repressiva del gambling, spesse volte autorizzato dalle stesse istituzioni pubbliche italiane. Un cortocircuito che si aggroviglia nelle fragilità, una rete – quella delle slot machine – in cui è finita anche la Calabria.

Reggio Calabria risulta essere la città calabrese con il maggior numero di giocate complessive: un patrimonio sperperato di oltre 122 milioni di euro nel solo 2016. Un dato abnorme se confrontato alla vicina Messina, dove i peloritani giocano poco più di cento milioni all’anno, mentre nel resto della Calabria si registrano dati in aumento, ma comunque più limitati: Catanzaro “spende” poco più di 50 milioni l’anno, Cosenza circa 46 milioni, mentre Crotone si “ferma” a 25 milioni.

Ma i numeri più eclatanti si scorgono in provincia di Reggio Calabria: un caso su tutti è quello di Gioia Tauro. Al fronte di un reddito medio di 13.838 euro se ne spendono in azzardo – in media – 1.465 euro. Record di sale giochi, poi, a Melito Porto Salvo: 15 ogni 1000 abitanti.

Questi i numeri. A cui aggiungere una valutazione che non può essere “suppletiva”. Proprio in Calabria si è già arrivati a una sentenza in cui un giudice ha certificato il totale controllo dell’azzardo ad opera della ‘ndrangheta. Decine, inoltre, sono le indagini in cui si contesta ad affiliati e sodali dei principali clan calabresi di essere i proprietari di fatto di migliaia di centri scomessa e sale giochi. Luoghi deputati al riciclaggio di denaro sporco, ma anche di prestiti “a strozzo” come ha evidenziato l’operazione “Game Over” condotta dalla Guardia di Finanza che ha registrato l’attività di alcuni soggetti ritenuti vicini ai clan che offrivano i soldi per le “puntate” ai giocatori sovraindebitati.

Di certo, accanto alla crescita a dismisura del numero di sale slot, aumenta anche la responsabilità da parte del Terzo Settore che negli ultimi anni sta avviando delle azioni di sensibilizzazione, soprattutto verso le giovani generazioni, sul fenomeno del gioco d’azzardo patologico per far comprendere i rischi di un’azione che – altresì – viene ampliamente reclamizzata dai maggiori media e sul web. Quest’ultimo spazio virtuale, oggi, risulta essere la vera nuova frontiera (illimitata) per gli affaristi delle fragilità.

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