Avvenire di Calabria

L’iper-protezione dei figli crea il disagio giovanile

Si è persa l'idea che 'sbagliando s'impara', ma per affrontare il futuro ci vuole la consapevolezza di potercela fare da soli

Silvia Rossetti

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C’era un tempo in cui si era soliti dire “sbagliando s’impara”. Poi, a un certo punto, chissà… forse ci sarà sembrato un proverbio banalmente consolatorio e un po’ da perdenti e quindi abbiamo smesso di ripeterlo alle giovani generazioni.
In effetti nel mondo patinato dei tutti-belli, tutti-cantanti, tutti-ballerini e tutti-attori l’errore appare come una imperfezione di cui liberarsi, magari col filtro o col correttore. Eppure è così prezioso l’errore.
Maria Montessori gli dava del lei e lo chiamava “signore”: il signor Errore. Il vero grimaldello della conoscenza. Il primo tentativo venuto male, la risposta precipitosa dell’istinto o dell’intuito, lo spazio legittimo della superficialità, umana anch’essa e funzionale al passo successivo dell’approfondimento.
Ce lo siamo negati l’errore e lo abbiamo negato ai nostri figli. Lo abbiamo relegato nel catalogo dei gesti riprovevoli, fra i “non si sappia che…”.
Un danno. E come se non bastasse a farsi paladini del “non errore”, negazionisti fino all’estremo, sono arrivati i genitori “spazzaneve”. Un esercito di previdenti anticipatori e competenti risolutori dell’ipotetico errore dei propri figli. I genitori spazzaneve sono infarciti di precetti pedagogici e nozioni di psicologia. Sono anni che studiano il proprio figlio e hanno capito che la sua emotività e il suo benessere psicofisico derivano dall’autostima. L’autostima per gli spazzaneve è come il Santo Graal, va cercata a tutti i costi e difesa dall’assalto degli infedeli. Attenzione, gli infedeli sono tra noi e spesso si travestono da insegnanti.
Così, mentre gli spazzaneve sono impegnati e stressati in una capillare operazione di controllo che dall’alto guida le mosse e le scelte del proprio figlio con prudenza e spirito di autoconservazione, arriva sempre quell’ostinato professore “che non ha capito il ragazzo” e che magari gli affibbia un bel tre, a dire “hai sbagliato, non hai capito, devi studiare meglio”.
Il genitore spazzaneve, però, in vedetta e sempre avanti di un passo giunge in men che non si dica a discutere il tragico fattaccio. Chiede colloquio urgente e snocciola una serie di questioni sulla fragilità emotiva del ragazzo e il “rischio” che il fallimento possa seppellire irreversibilmente la sua delicata e timida voglia di fare. Per il genitore spazzaneve, poi, la sacra missione non finisce mai e quindi è frequentissimo ascoltare docenti universitari che raccontano di figli maggiorenni accompagnati da mamme e papà negli Open Day, nelle aule di lezione, ai ricevimenti, agli esami!
Ma dove porta questa spasmodica tendenza all’iperprotezione, che poi sotto sotto malcela una mancanza totale di fiducia nei confronti del proprio figlio e quindi di rimando della propria efficacia educativa.
Il punto di approdo è proprio la temuta inettitudine, come una “profezia che si autoavvera”, il rampollo privo della preziosa esperienza degli errori e dei fallimenti è disarmato e quindi paralizzato nei confronti di qualsiasi prospettiva: scolastica, professionale e perfino sentimentale.
Per affrontare il futuro ci vuole la consapevolezza di potercela fare da soli e di essere capaci di gestire fallimenti e frustrazioni.
Viviamo un grosso equivoco. Amare i propri figli e desiderare per loro la felicità non significa privarli del “diritto” di sbagliare e di soffrire e alimentare in essi l’idea che l’errore sia una infamia o un irreversibile dramma.
L’errore è esperienza da cui imparare. Un “signore” a cui dare del lei ed esser grati.

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