Avvenire di Calabria

Il ricordo di monsignor Gianni Latella e di quanti hanno avuto modo di conoscere la donna molto conosciuta per il suo servizio per la Chiesa reggina e la comunità

Lucia Deinert Fedele, esempio di impegno laicale al femminile

Tre mesi fa la sua nascita al cielo. Insegnante di tedesco in Seminario e socia del Meic, giunse in Calabria dalla Germania nel dopoguerra

di Giorgio Neri

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«Un dono di Dio per tutti, come per i suoi figli, per i suoi amici, i suoi allievi, e per chiunque abbia avuto il privilegio di incontrarla e conoscerla, magari». Sono parole, che escono dal cuore, quelle scritte da Don Gianni Latella, per ricordare Lucia Deinert Fedele, che ad un paio di mesi dopo la sua scomparsa ha accolto la pressante e molteplice richiesta di ricordarla e celebrarla, come per fissare in tutti noi il suo esempio di vita, la sua forza, la sua generosità, la sua lucidità, la sua immensa carità e, soprattutto la sua grande fede.

Dalla Germania a Reggio, l'arrivo nel dopoguerra

Lucia Deitner Fedele approda in riva allo Stretto nel dopoguerra. Certo non deve essere stato molto interessante per lei, allora, venire a vivere, dalla Renania Vestfalia, dalla Ruhr, in una provincia, arretrata – si pensi che in quegli anni si potevano ancora vedere sul Corso Garibaldi delle greggi di pecore -  e per lo più gravata dai drammi della guerra. «Ma fu capace di portare fermento e lievito di valori», testimonia oggi don Antonino Pangallo.


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«La guida un incoercibile senso di giustizia, che nonostante i punti ciechi della storia individuale e collettiva, le impediva di accettare lo scandalo del dolore degli inermi», scrive di lei Luciano Tripepi, che la conobbe a vent’anni e da lì negli anni a venire. «Durante la nostra esistenza ci sono poche persone che già da giovani indicano la strada con la loro presenza, per poi rimanere compagni del nostro dialogo interiore per tutta la vita, indifferenti alla vicinanza fisica. Lucia Deinert Fedele, per me è una di queste», aggiunge.

La cura e l'attenzione per il prossimo e gli "ultimi"

Da insegnante di Tedesco, che amava insegnare, si fece apprezzare dai suoi studenti di liceo. Rosalba, Ferruccio, Filippo e Giovanni, negli anni 64/65 maturandi al Liceo “Leonardo Da Vinci”, raccontano oggi della sua generosa disponibilità ad aiutarli nella preparazione degli esami di maturità. «Ci rendemmo conto, allora – scrivono – che avevamo avuto una grande fortuna. Non eravamo più semplicemente al liceo, eravamo come i discepoli di Socrate, con una persona superiore, che ci guidava e che apprezzava il nostro interesse complessivo». Un rapporto che dopo il liceo si è trasformato in una amicizia più intima e consapevole.

«Lucia – ricordano – ha condiviso con noi, coinvolgendoci, l’esperienza di un servizio sociale rivolto ai più deboli e bisognosi, svolto negli ospedali cittadini, all’Ospedale Psichiatrico, al fondo Versace, a Casa Serena, arricchendo di umanità il nostra bagaglio culturale».  E facendo innamorare tutti quelli che la conoscevano, della Germania, del suo patrimonio artistico, culturale, della sua bellezza naturale, orgogliosa di essere tedesca, pur essendo sempre consapevole dei terribili drammi, vissuti anche in persona, della seconda guerra mondiale.

Il grande amore per la Calabria

Nella sua collaborazione, durata dal suo arrivo a Reggio e mai conclusasi, con la Ditta Vilardi, per decenni la più nota ed importante società operante nel settore agrumicolo della Calabria, si è sempre spesa, con il tipico rigoroso approccio tedesco, al continuo miglioramento dell’azienda, spendendone il nome ed i prodotti in Italia ed in tutta Europa, manifestando anche così il suo amore per la Calabria e la determinazione che questa terra potesse, con impegno, costanza e lavoro, essere punto di riferimento.  

La sua immensa attività di studiosa l’ha portata alla pubblicazione di importanti traduzioni, e all’incontro con importanti Accademici. Tra questi Ulrich Rhode, oggi professore ordinario di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana, a Roma. Lucia e il prof. Ulrich Rhode si conobbero a Francoforte ma poco tempo dopo si rividero a Roma. E alla richiesta di aiuto del professore nelle correzioni linguistiche rispose prontamente sì. In una sua revisione inviata al professore, scrisse: «Complimenti, pochi errori, ricerche accurate. Ma mi chiedo e Le chiedo, "Cosa ne penserebbe Gesù?”».

«Questo era ciò che le stava più a cuore – scrive oggi il prof. Rhode - sapere sempre meglio come plasmare il nostro mondo – e la nostra Chiesa – se vogliamo seguire l’esempio di Gesù».   O, ancora, la collaborazione con il Prof. Gerhard Rohlfs, dell’Università di Monaco, con il quale curò, insieme con il marito, la traduzione del libro, che riguarda tutti noi, “Nuovi scavi linguistici nell’antica Magna Grecia”, a testimonianza del suo amore e del senso di profonda appartenenza alla terra di Calabria. 

Insegnante al Seminario Pio XI e l'impegno nel Meic

«Lucia ti raggiungeva con i suoi occhi chiari e, nell’incedere, saltellante come un passerotto. L’aver potuto incrociare i suoi passi è stata una grazia», attesta don Antonino Pangallo, che la ricorda insegnante di tedesco al Seminario e poi nell’impegno nel Meic, all’interno del quale è stata una “risorsa”, e per molti anni ha ricoperto la carica di vice presidente cittadino. Ed ancora l’attività con la Comunità Bizantina di San Cipriano. «La spiritualità dell’Oriente cristiano non le appariva come qualcosa di arcaico e suggestivo – commenta don Antonino Pangallo – ma era un filone spirituale che l’aiutava a nutrire l’anima, imparando ad andare all’essenziale con la preghiera di Gesù: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. Non si poteva non volerle bene».


PER APPROFONDIRE: Meic Reggio Calabria, don Massimo Grilli parla delle nuove sfide della Chiesa


Sono tante le testimonianze raccolte in ricordo di Lucia Deinert Fedele, da Elisa Tripepi e Vanna Marino Tommasini, che l’hanno definita una «persona speciale», a Domenico Minuto che si sofferma sulla gioiosa comune esperienza nella Comunità Bizantina, e la «fragile e forte, pensosa e serena», fino a Enzo Pellegrini per il quale «in Lucia splendeva un‘anima nobile, che non escludeva affatto la capacità di azione, ma si imponeva per la qualità eccelsa dei sentimenti e del giudizio».

Ai figli Ulrico e Sabine resta l’immenso patrimonio di affetto e di riconoscenza che tanti hanno tributato a Lucia Deinert Fedele. «Lucia, mai più un nome può definirsi omen nomen. I suoi occhi non erano solo lo specchio della sua anima, ma ti permettevano di guardarle dentro, entrare istantaneamente in comunicazione con lei, con il suo io e lei ti guardava sempre dritto negli occhi per farti capire, quanto tu fossi importante per lei e quanto desiderasse esserlo per te. I suoi occhi condividevano con te la gioia, il dolore, la tristezza, le emozioni.  Poteva anche comunicarti, sempre senza parlare, la sua sdegnata riprovazione, ma solo per poterne poi parlare, chiarire, spiegare. Comprendere il suo prossimo era una esigenza vitale».

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