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In osservanza del lutto nazionale e su disposizione del Sindaco, le istituzioni non prenderanno parte
Nella Basilica Cattedrale, la Messa del Crisma nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria presieduta dall'arcivescovo metropolita, monsignor Fortunato Morrone. Durante la celebrazione eucaristica, la tradizionale benedizione del crisma e degli altri sacri olei. Saranno utilizzati per amministrare i sacramenti durante l'anno liturgico.
Nella Basilica Cattedrale di Reggio Calabria, l’arcivescovo metropolita monsignor Fortunato Morrone presiede la Messa del Crisma. Una celebrazione intensa e partecipata, che ha segnato l’inizio del Triduo pasquale in diocesi.
Sono presenti tutti i sacerdoti e diaconi del Clero reggino, la Comunità del Seminario arcivescovile Pio XI, numerosi religiosi, religiose e una folta rappresentanza di fedeli laici. A concelebrare anche gli arcivescovi emeriti, monsignor Vittorio Luigi Mondello e monsignor Giuseppe Fiorini Morosini.
Durante la celebrazione eucaristica, si svolge la benedizione del crisma e degli altri sacri olii, che verranno utilizzati nel corso dell’anno liturgico per l’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, della Cresima, dell’Ordine e dell’Unzione degli infermi.
PER APPROFONDIRE: Nella Messa del Crisma la Chiesa ritrova la sua missione
A introdurre il rito è stato il vicario generale dell’arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova, monsignor Pasqualino Catanese, che ha richiamato il significato spirituale dell’unzione e del sacerdozio come segno di unità e servizio nella Chiesa.
Un’omelia intensa e densa di significato quella pronunciata da monsignor Fortunato Morrone, durante la Messa del Crisma. Il vescovo ha parlato ai presbiteri, ai fedeli e a tutta la Chiesa diocesana, riflettendo sul valore dell’unzione, sull’identità profetica della missione e sull’unità nel servizio del popolo di Dio. Il presule ha salutato inoltre, monsignor Salvatore Nunnari e insieme a lui tutti gli altri presbiteri che per l’età e per l’attuale malattia «partecipano in comunione con noi tutti da casa».
Sorelle e fratelli tutti carissimi in Cristo, fratelli vescovi Vittorio e Giuseppe, carissimi presbiteri e diaconi, religiosi religiose e consacrate, seminaristi e rappresentanti delle nostre comunità parrocchiali benvenuti nella nostra Cattedrale all’annuale celebrazione della Messa Crismale. Saluto da qui mons. Nunnari e insieme a lui i nostri presbiteri, Mons Iachino, don Nino Palmenta, don Mimmo Marturano, don Ernesto Malvi, p. Giovanni Aitollo…, che per l’età e per l’attuale malattia partecipano in comunione con noi tutti da casa
Nella preghiera di consacrazione del Crisma, il vescovo chiede che l’olio penetri la vita dei battezzati cosicché la nutri e la santifichi della medesima unzione messianica del loro Capo e Maestro, il Signore Gesù, per renderli partecipi della sua stessa missione profetica, regale, sacerdotale. L’unzione poi del capo e delle mani nel giorno della nostra ordinazione episcopale e presbiterale, sia memoria costante, attualizzazione viva dell’opera dello Spirito, perché il nostro ministero sia vissuto con sempre più consapevolezza a servizio di tutti i battezzati, a misura di Gesù, Signore nostro, che “non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita” per la totalità dei figli e delle figlie di Dio amati da Dio.
L’affermazione del profeta in Isaia “lo Spirito del Signore è sopra di me mi ha consacrato con l’unzione e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annuncio”…ripresa da Gesù nella sinagoga di Nazaret, è il motivo di fondo che attraversa la Liturgia della Parola e in questa messa del Crisma, viene consegnata in modo particolare a noi presbiteri
La figura anonima del profeta nel brano di Isaia è posta, dopo il ritorno degli esiliati da Babilonia, nel contesto storico della riedificazione del tempio, simbolo della ricostruzione sociale e personale di Israele. Il compito del profeta è quello di dare piena attuazione alle promesse di Dio (61,1-11). In realtà l’assicurazione della restaurazione proclamata dai profeti nell’esilio non corrisponde affatto alle attese.
Ai rimpatriati da Babilonia bisogna aggiungere quelli rimasti in Giudea, gli stranieri e i giudei della diaspora: a partire da tutti questi il sogno è “costruire una comunità di uomini giusti, graditi a Dio” (cfr. L. A. Schökel, 388). In realtà discriminazioni e ingiustizie sono all’ordine del giorno. Tra il popolo perciò avanza lo sconforto. Consacrato dalla Spirito del Signore il profeta ha come missione prioritaria di “portare il lieto annuncio agli ‘anāwı̂m, ai miseri”, persone che vivono nella sofferenza fisica o morale, sfiduciati e oppressi a causa dell’ingiustizia. A costoro Dio si rivela con un annuncio di gioia: il tempo dell’oppressione sarà trasformato in tempo di grazia, “l’anno di grazia del Signore – per il Signore”. L’annuncio è forte e provocatorio. Nella tradizione di Israele infatti, come sappiamo, anno di grazia si riferisce all’anno giubilare, anno di liberazione da ogni forma di schiavitù e di conseguenza metter in atto la giustizia nei confronti dei miseri privati di ogni elementare diritto, spogliati della propria identità garantita dalla terra dei padri ricevuta in eredità da Dio.
Il compito del profeta pertanto è certamente impari alle sue forze. Solo l’azione dello Spirito del Signore Dio può aprire orizzonti di speranza rimettendo in piedi un popolo abbattuto. Ecco perché raccontando la sua vocazione la figura misteriosa, fa appello all’unzione regale che richiama la presenza dello Spirito tipico dell’unzione regale-messianica, marchio caratteristico della presenza di Dio nelle persone da lui scelte (Is 42,1-7; cfr. Is 11,2) per la missione. D’ora innanzi tutte le forze dell’inviato sono consacrate a portare il lieto annuncio ai poveri.
Ebbene il profeta messia appena intravisto dall’orizzonte profetico di Isaia si mostra finalmente nel volto di Gesù a Nazaret nella sinagoga. Come amato Figlio del Padre (cfr. Lc 3, 22), colmo di grazia e di verità, su di Lui lo Spirito si è posato definitivamente (cfr Gv 1,32) rivelandolo in permanenza l’unto-il consacrato del Signore Dio. Rispetto ai profeti in Gesù l’unzione non è funzionale alla missione ma ne manifesta la sua stessa identità di Consacrato-Santo di Dio, non tanto come separato, ma immerso totalmente nella nostra umanità. Rifacendosi alle parole del Levitico l’evangelista Luca, infatti, traduce sulle labbra di Gesù santità con misericordia: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). L’anno di grazia del Signore è la persona stessa di Gesù, volto umano della misericordia di Dio che elide il giorno di vendetta preconizzato da Isaia, giorno di vendetta da cui Dio, tre volte santo, non può che essere separato.
Pertanto: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». È l’oggi che risuonerà un’ultima volta sulle labbra di Gesù mentre morente assicura alla persona crocifissa con Lui un posto nella casa del Padre suo, dove in verità il posto è riservato, ante previsa merita, a tutti. È l’oggi lucano che risuona nell’ora giovannea del compimento della missione profetica di Gesù, l’ora in cui il Crocifisso si consacra liberamente per noi nel Dono di sé, inondandoci della sua stessa vita d’Amore che eternamente ha ricevuto dal Padre: lo Spirito della vita e di verità, lo Spirito dell’unzione profetica, regale e sacerdotale che ha fatto di tutti noi il popolo santo di Dio a vantaggio di tutti.
Le parole del profeta Isaia che Gesù fa sue nella brevissima predica nella sinagoga di Nazaret, non parlano semplicemente di Lui, ma sono proprio Lui. La sua missione inerisce la sua natura di Parola eterna incarnata del Padre, in cui dal principio era la vita (Gv 1, 1-4). Pertanto la sua missione non giunge a ridosso della sua esistenza umana, ma predica la sua persona: “Sono venuto perché abbiano la vita in abbondanza …. per questo il Padre mi ha consacrato e mandato nel mondo (Gv 10,36). Per dirla con le parole della fede della Chiesa, da Nicea ad oggi, ontologia e missione in Gesù non vanno pensate separate. È la pretesa salvifica di Gesù e di conseguenza quella annunciata della Chiesa e per la quale la Chiesa ha motivo d’esistere: evangelizzare tutti nel nome di Gesù, come Gesù, unico Mediatore tra Dio e gli uomini per i quali noi siamo costituiti ministri, non mediatori.
Ebbene queste brevi considerazioni, cari presbiteri, riguardano la natura della nostra missione, ministero della nuova alleanza instaurata nel sangue della vita di Cristo Signore che dovrebbe segnare in profondità la nostra vita. Certo tra Gesù, Maestro e Signore, e ciascuno di noi c’è una differenza sostanziale: ma in quanto suoi discepoli stiamo imparando ad imitarLo, a non separare la missione che la Chiesa ci ha affidato dalla nostra vita personale. L’annuncio del Vangelo per il quale siamo stati chiamati, unti e consacrati dallo Spirito di Gesù nella Chiesa, ordinati al servizio del popolo di Dio, non può non contrassegnare la nostra esistenza, il nostro stile di vita, le nostre relazioni fraterne.
A tale proposito Benedetto XVI ci ricordava: “la persona consacrata esiste «per» gli altri, è donata agli altri. Donare a Dio vuol dire non essere più per sé stessi, ma per tutti. E’ consacrato chi, come Gesù, […] è pienamente a disposizione di tutti. Per i discepoli, sarà continuare la missione di Gesù, essere donato a Dio per essere così in missione per tutti. (Udienza generale, 25 01 2012).
Quanto più facciamo nostra la missione affidataci, quanto più la missione informa il nostro pensare e agire, tanto più scopriamo la nostra umana identità di presbiteri e di vescovi: costituiti in persona Christi capitis. Ritualizzeremo quest’assioma teologico questa sera durante il rito della lavanda dei piedi. Il testo giovanneo esprime in modo narrativo la verità annunciata nell’inno cristologico della lettera ai Filippesi inquadrato nello spogliamento-kenosi di Cristo Gesù. Ecco piegandoci ai piedi nudi delle persone a noi affidate deporremo la veste liturgica che caratterista il nostro ministero pastorale ma che a volte, per varie ragioni e inconsciamente, utilizziamo con piglio autoritario e schermo difensivo della nostra stessa nudità, delle nostre umane fragilità. Sono dinamiche presenti anche nelle relazioni tra noi presbiteri e che affaticano il desiderio e la sincera ricerca di autentica fraternità.
È vero, l’immensa grazia del nostro ministero è in noi “come in vasi di creta perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi.” (2 Cor 4,7). Su questo fondiamo la speranza in Cristo che annunciamo dandone ragione possibilmente mediante la nostra stessa vita.
Ma grazie a Dio la vostra testimonianza incoraggia e sostiene il mio ministero apostolico. So e vedo che sull’esempio di Cristo, pur con tutti gli umanissimi limiti, siete fedeli dispensatori, non padroni, dei misteri di Dio. Conosco per quanto mi è possibile le vostre fatiche pastorali nell’incessante e appassionato annuncio della Parola di salvezza con tutti i registri dell’umana comunicazione. Constato direttamente e indirettamente che nel vostro ministero vi lasciate guidare non da interessi umani o di parte, ma dall’amore per i fratelli e le sorelle affidati alla vostra cura pastorale, specialmente i poveri e gli ultimi, offrendo così una luce di speranza, in quest’anno santo, a coloro che hanno molto meno di noi in affetti, casa, diritti, cultura, possibilità economica, attingendo direttamente al vostro pozzo, con quella generosa discrezione del vostro cuore che solo il Padre di Gesù vede (Mt 6,4).
In questa luce sono certo che almeno una delle undici concrete sollecitazioni che emergono dalla bolla giubilare l’avete assunte come concreto impegno in quest’anno santo «affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore” (Bolla. 13) in modo che l’Eucaristia da noi presieduta e guidata nella celebrazione sia dispiegata concretamente nei gesti evangelici della vita, segni concreti e anticipati di resurrezione.
Per tutto questo cari fratelli presbiteri grazie di vero cuore, mentre rendiamo grazie al Signore che continua a fidarsi di noi, nonostante noi. A Maria, donna di fede e madre di Gesù, nostra speranza (cfr. 1 Tm 1,1), a lei madre della consolazione dello Spirito affidiamo fiduciosi il nostro ministero a servizio del popolo santo di Dio.
Amen.
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