Avvenire di Calabria

La premessa iniziale: «A nessuno può e dev’essere negato il diritto di pregare per i propri defunti»

Messa Tegano, Libera spegne le polemiche e ringrazia Morrone

La chiosa di Stamile: «Personalmente ringrazio l'arcivescovo per l’esortazione finale a stimolarci e stimolare nel bene e nella bellezza»

di Ennio Stamile *

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Pubblichiamo di seguito l'editoriale di Ennio Stamile, referente regionale di Libera. In più passaggi don Stamile fa riferimento esplicito a un editoriale di Claudio Cordova, uscito sul Dispaccio. Consigliamo la lettura di entrambe le riflessioni, sia don Stamile che Claudio Cordova, infatti, offrono spunti di riflessione interessanti.

A nessuno può e dev’essere negato il diritto di pregare per i propri defunti, in modo particolare attraverso la celebrazione eucaristica in loro suffragio. Lo ribadisco a scanso di equivoci, nonostante nella nota precedente riguardo alla celebrazione del trigesimo di Giovanni Tegano era abbastanza evidente. D’altro canto, però, nessuno può strumentalizzare questo momento sacro in cui ci troviamo dinanzi al mistero della morte che tutti ci rende innocenti, cioè incapaci di nuocere, di fare il male. Ciò che è accaduto, purtroppo, durante il trigesimo del boss Giovanni Tegano da parte dei suoi congiunti, tappezzare la città di Reggio Calabria con un manifesto funebre davvero singolare. Prima di soffermarmi qualche istante su di esso, mi vedo costretto a dedicare, mio malgrado, brevi note a chi maldestramente ritiene che Libera sia “stampella del potere che se la prende con i morti e non con i vivi”.


PER APPROFONDIRE: Messa in suffragio di Tegano, la Diocesi: «Mai chiesto l’allontanamento di Klaus Davi»


Nonostante Arthur Schopenhauer, ci ha messo in guardia: “di fronte agli sciocchi ed agli imbecilli c’è un solo modo per rivelare la propria intelligenza, quella di non parlare con loro”, gli eventi mi spingono a non tacere, non per difendere Libera, non ne ha bisogno, semplicemente per evitare che le idiozie pronunciate da chi si ritiene “saccente”, al tal punto da scomodare Sofloche, possano vagare indisturbate in un modo mediatico in cui prevale la ricerca dell’immagine, delle opinioni a scapito dei fatti, della ricerca di visibilità e di apprezzamento di quel “potere” che, quando non ossequia le opinioni di tali risibili presunti saccenti, “logora” il loro piccolo animo rendendolo ancora di più asfittico, prendendosi anche il lusso di criticare spudoratamente i magistrati senza alcun fumus boni iuris. Voglio solo ricordare, che il mio predecessore è stato più volte minacciato di morte. Ben due volte la Questura è stata costretta ad intervenire nel pieno della notte perché telefonate anonime segnalavano una bomba nella sua casa. Per non parlare poi di Don Ciotti condannato a morte qualche anno fa da un certo Totò Riina.

Meno male che Libera parla solo contro i morti! Di esempi come questi ne potrei fare a centinaia, ma lo ritengo uno spreco di tempo e di energie per chi non sa o non vuole vedere oltre le proprie opinioni. Per ritornare al manifesto funebre sopra ricordato, ci indigna e non poco con quanta spudoratezza i congiunti abbiano inteso attraverso di esso tentare di strumentalizzare l’evento della Messa esequiale. D’altronde, la ‘ndrangheta da sempre cerca di asservire il sacro, non è certo una novità. Ma ciò che sconcerta è con quanta naturalezza viene pubblicata nel manifesto funebre la foto del giovane Tegano, quasi a voler simboleggiare “tu per noi sarai sempre il giovane e potente capo indiscusso di Archi, la fragilità della condizione umana, la morte, non ti possono scalfire. Meriti di essere ancora una volta applaudito come in quel mese di aprile del 2010, in cui è finita la tua latitanza durata ben diciassette anni ed una donna ti acclamava come uomo di pace”. Per non parlare, poi, di quell’espressione davvero blasfema con la quale lo si definiva “uomo che ha amato tutti”. Avrei davvero gradito che chi si è permesso il lusso di scomodare Antigone si fosse ricordato di quanto Sofocle scrive a proposito dell’amore che rende la stessa morte amica.

Mi rendo conto, però, che esso con il suo riferimento alla valore della terra, del mare, è dramma complesso appannaggio di pochi. Consiglio, perciò, una sana rilettura coadiuvata da una buona esegesi del testo. Oltre ad essere greci, molti di noi sono anche cristiani. Per il cristianesimo la morte solo biologicamente è una “livella”. Ce lo ricorda anche la parabola delle dieci vergini: “tutte si assopirono, sia le sagge che le stolte”. Ma nel pieno della notte al grido che annuncia lo sposo solo metà di esse è stata ammessa a celebrare la festa, coloro che “erano munite di olio”.


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Dunque la morte è anche “principio di discriminazione”, tra chi opera il bene e chi si ostina ad essere ripiegato nel male. Così ricorda il Libro dell’Apocalisse “Scrivi: beati i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono.”(Ap 14,13) Le opere di bene, ovviamente, non certo gli omicidi, il racket, l’usura. Men che meno le parole, le opinioni, le prediche, le presunte lezioni di letteratura!

Intendo ringraziare per la delicatezza monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio, che alla nostra un po' frettolosa nota mi ha personalmente chiamato, e non era certo tenuto a farlo, spiegandomi che in quel trigesimo non si voleva solennizzare niente, anzi il contrario, perché c’era quell’intenzione accanto a molte altre. Certo la nota, ha contribuito ancor di più a sollevare il polverone che si poteva evitare se non fosse stato per quel “accanimento mediatico” che non salva neanche un momento di preghiera. Ma eravamo ben consapevoli che il Vescovo avesse chiarito come in effetti è stato. Personalmente lo ringrazio per quell’esortazione finale a stimolarci e stimolare nel bene e nella bellezza. Di questo solo abbiamo davvero bisogno, mentre piangiamo ancora tante morti bianche sui cantieri infuocati del lavoro e sulle terre briciate dai piromani. Antigone docet.

* Referente regionale di Libera

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