Avvenire di Calabria

Mettersi accanto a chi si dissocia dalle ‘ndrine

L'esempio di don Italo Calabrò

Mario Nasone

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Sabato 7 ottobre la Diocesi di Locri-Gerace, accogliendo l’invito di papa Francesco, ha indetto una giornata di preghiera a Placanica per la conversione dei mafiosi. La domanda che in molti si fanno è se questa iniziative è utile, se ci sono spazi reali per un cambiamento di vita di persone che hanno deciso di abbracciare una visione del mondo e della vita come quella mafiosa radicalmente contraria al Vangelo.

Un tema difficile quello della conversione che ritorna spesso nei documenti e nei pronunciamenti pastorali dei nostri Vescovi e dei vari Pontefici e che negli anni purtroppo non risulta abbiano mai fatto breccia soprattutto nei livelli alti delle gerarchie mafiose. Se per conversione intendiamo cambiamento radicale di vita, ripudio della propria appartenenza all’organizzazione mafiosa, posa di atti di riparazione del male commesso. Atti esteriori di devozione, come partecipare a processioni, pellegrinaggi, tenere santini nei covi dove si nascondono o pregare un Dio su loro misura che non è quello della Chiesa e del vangelo, non assolvono e tanto meno reintegrano nella compagine ecclesiale. Per questo può essere utile ricordare quanto affermava don Italo Calabrò, un sacerdote che sul versante del contrasto alle mafie ha speso molto del suo servizio pastorale, anche da parroco di San Giovanni di Sambatello dove è nato e viveva don Mico Tripodo uno dei grandi capi più temuti della ndrangheta. Più volte confessò di non avere mai conosciuto un mafioso che si sia convertito, ad eccezione del detenuto che fece il discorso nel carcere di Reggio in occasione della visita di Giovanni Paolo secondo.

Sulla conversione dei mafiosi don Italo non era ingenuo, diffidava di una concezione sbagliata di questa espressione. Autentica conversione doveva voler dire ripudio della propria appartenenza all’organizzazione mafiosa e posa di atti di riparazione del male commesso. Per questo, in occasione della cosidetta Messa della riconciliazione tenuta nella cattedrale di Reggio, in piena guerra di mafia, presenti i familiari dei morti di mafia, fu critico verso una iniziativa che riteneva inutile ed ambigua e non aveva il presupposto di gesti di autentico pentimento.”Qui si tratta di farli smettere e non di autocelebrarsi” fu il suo commento La conversione ridotta a fatto intimistico che non esprime gesti di riparazione visibili e pubblici non è autentica. La vera conversione del mafioso non darà certo la vita agli uccisi, ma riparerà il male commesso indicando all’autorità giudiziaria quegli elementi, quelle situazioni e quelle persone necessarie per debellare la struttura organizzativa della mafia, causa di ingiustizie e di violenza. Non basta essere pentititi, avere fatto accusa dei propri peccati ed essere stati assolti. La soddisfazione al male commesso richiede che il mafioso pentito non si sottragga alle pene comminate dalla sentenza definitiva della magistratura. Ancora, se chi è dentro i clan e non può oramai più uscirne da vivo, ha un’altra possibilità che è quella che ancora don Italo indicava loro “se voi non potete, fate almeno in modo che i vostri figli non vi entrino”

In questo momento storico questa scelta è possibile. Grazie al lavoro fatto dal Tribunale per i minorenni di Reggio con il progetto Liberi di Scegliere, uomini e donne della ndrangheta possono aderire o comunque non contrastare la proposta dei servizi della giustizia minorile di dare l’opportunità ai loro figli di potere sperimentare dei percorsi alternativi di vita fuori dell’ambiente familiare e sociale in cui sono cresciuti. Sono già quaranta i minori che hanno fatto questo percorso con risultati largamente positivi. Assieme ad essi anche diverse donne che hanno scelto di rompere con il clan di appartenenza per dare ai loro figli un futuro diverso. Ad essi possono aggiungersi tanti altri, soprattutto se verranno aiutati dai loro genitori naturali a provare una vita diversa da minori e poi fare le loro scelte definitive da maggiorenni. Senza per questo ripudiare o cancellare dalla loro vita i genitori ma imboccando un cammino diverso. E quello che ha detto il Magistrato Stefano Musolino al carcere di Reggio al rampollo di uno dei capi della ndrangheta durante un incontro “ anche se porti questo cognome anche per Te c’è una speranza, ma devi prendere le distanze dalle scelte fatte da Tuo padre, senza per questo rinnegare gli affetti”. Le madri che hanno deciso di rompere con il clan, i mafiosi che in silenzio stanno aiutando i figli a stare lontano dai loro affari, quelli che scrivono al Presidente Di Bella per incoraggiarlo sono piccoli segni di speranza che vanno coltivati.

Se l’appello alla conversione della giornata del 7 ottobre non vuole essere generico questa potrebbe essere una delle strade da indicare, garantendo come Chiesa un accompagnamento pastorale ed una vicinanza alle famiglie che vogliono realmente incamminarsi su questa strada di vita e di risurrezione religiosa e civile.

Articoli Correlati