
Limbadi, il 6 maggio si illumina per Maria Chindamo: memoria viva contro la ‘ndrangheta
Nel nono anniversario della scomparsa di Maria Chindamo, il luogo del delitto si trasforma in
Stiamo celebrando questa liturgia di commemorazione dei carabinieri Fava e Garofalo, barbaramente uccisi, venticinque anni fa, dalla ‘ndrangheta; siamo qui non solo per un doveroso e grato ricordo, ma perché desideriamo metterci tutti in ascolto del monito che il Signore ci ha rivolto nella prima lettura appena proclamata: oggi, se udite la sua voce non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione.
La mente va immediatamente alla dicotomia tra Fede e vita, che, spesso, si vive nei nostri ambienti e che ha indubbiamente favorito il radicarsi, anche tra cristiani battezzati, della piaga dell'appartenenza alla delinquenza organizzata, senza considerare, tante volte, (ed è questo il danno drammatico di quella dicotomia!) che, questa appartenenza, è una ribellione alla legge di Dio e un venir meno ai doveri della propria fede.
L’odierna sacra commemorazione dei due carabinieri uccisi, diventa, dunque, una presa di impegno morale e religioso, oltre che civile, da parte di tutte le istituzioni per denunciare e lottare contro questa mostruosa dicotomia tra Fede e vita e, di conseguenza, per richiamare tutti alla consapevolezza di un bisogno profondo di riscatto e di riequilibrio della vita morale, che non può esistere senza l’accettazione di una libertà fondata sulla verità, che è Dio.
La responsabilità di superare e risolvere la dicotomia tra fede e vita è, certo, della chiesa, ma non soltanto di essa; è di tutta evidenza che si tratta di un problema serio, dai molteplici e problematici risvolti, non solo religiosi, ma anche culturali ed etici, per cui è urgente e necessaria una maggiore collaborazione tra comunità ecclesiale e società civile. Qualche volta la chiesa è stata accusata di aver fatto poco per contrastare la mentalità e l’attività mafiosa, denunciando che non è né possibile né ammissibile alcuna connivenza tra fede, pratica religiosa e attività mafiosa. Questa denuncia, però, non potrà essere efficace se non si affronta il problema più generale della dicotomia tra Fede e vita, che tocca in vario modo i diversi strati della società, la quale, forse, si riconosce cristiana solo per tradizione culturale e non per scelta di vita.
Dinanzi a questo elemento sarebbe troppo poco incisiva la voce della Chiesa. Bisogna formare le coscienze per non far convivere alcuna espressione religiosa con qualsiasi condotta di vita immorale. Ecco allora oggi la nostra riflessione: da un lato l’aberrazione di un fatto criminale; dall'altro il grato ricordo del dono della vita da parte dei due carabinieri, deceduti nel compimento del proprio dovere. Le parole della Bibbia: se udite oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori, ci sollecitano ad affrontare, in ogni momento e in ogni situazione, il tema della conversione morale. Il cambiamento della società, nel nostro caso il superamento della “malattia morale” della ‘ndrangheta, dovrà necessariamente essere frutto anche del cambiamento di prospettiva culturale ed etica della società, che dovrà ricollocare la presenza di Dio all'interno dei suoi valori e delle sue prospettive. Non nascondo, in tal senso, le mie preoccupazioni, come vescovo, e so di dovermi assumere le necessarie responsabilità legate al mio servizio; chiedo, tuttavia, una maggiore collaborazione della società civile, ad ogni livello, per creare una nuova cultura, di vita e di fede, nella quale non ci si accontenti di una pratica religiosa formale, legata a fattori ambientali, culturali e tradizionali, ma che sappia andare al fondo dell'atto di fede, che è sempre appello alla conversione di vita.
Questo ragionamento, presentato in chiave religiosa, può essere, parallelamente, ben assunto in prospettiva laica e civile, esortando a quella cultura della legalità che, unica, può fare terra bruciata ai presupposti di ogni tipo di criminalità.
Fino a quando la nostra cultura non cambierà il modo di concepire l'atto di fede, si correrà sempre il rischio di avere commistioni tra espressioni religiose e comportamenti immorali, siano essi di poca entità piuttosto che gravissimi, come il deprecabile tentativo di coniugare religiosità e crimine mafioso.
Del testo evangelico appena ascoltato, ci colpisce la supplica del lebbroso: se vuoi, puoi guarirmi. E allora la nostra riflessione si fa preghiera e richiesta al Signore perché guarisca la nostra società da questa lebbra che è la n'drangheta, che sta strozzando la nostra vita civile.
Noi siamo convenuti qui per celebrare un rito religioso al quale vogliamo legare diverse intenzioni: quella del suffragio anzitutto. La comunità dei credenti prega Dio per questi due fratelli che il Signore ha prematuramente chiamato a sé permettendo una morte incomprensibile e violenta.
Li affida alla misericordia del Padre, presentando a lui il gesto esemplare di una vita spesa non solo nell’adempimento ordinario del proprio dovere a servizio agli altri, ma anche quello, eroico, di una morte che ha fatto, di quella vita, una vera offerta sacrificale.
Quella del sostegno morale alle famiglie, che più di chiunque hanno pianto e piangono questa morte tragica, che ha rotto gli equilibri d’affetto ed ha infranto tante speranze. Noi tutti vogliamo ringraziarle, le famiglie degli appuntati scelti Antonino e Vincenzo, perché sono state il substrato ove si sono sviluppate le loro virtù morali e civili. Grazie, cari fratelli e sorelle, per il dolore che avete sopportato dinanzi a questa grave perdita, che, però, oggi, permette alla società di additare - soprattutto ai più giovani - esempi, ideali e valori, sui quali si può fondare la comunità degli uomini e si può costruire la dignità di un uomo.
Quella della gratitudine di noi tutti verso l’Arma dei Carabinieri. Sig. Generale, al di là dei nostri personali rapporti di amicizia, sono felice di poterLe esprimere - come rappresentante dell’Istituzione ecclesiale ma anche a nome delle altre Istituzioni dello Stato qui presenti - sinceri sentimenti di gratitudine a tutta l’Arma per il servizio generoso che rende alla società, ramificata come è nelle realtà più umili, piccole e sperdute del Paese intero.
Parrocchia e caserma dei Carabinieri sono, spesso, ancora, gli ultimi riferimenti istituzionali in tanti territori ove ormai tutte le altre presenze rappresentative vanno scomparendo. Grazie per tutti i sacrifici che, assieme alle altre forze dell’Ordine, voi rendete alla collettività, mettendo in conto anche il sacrificio della vita per la realizzazione del bene comune. Desideriamo pregare il Signore perché ci conceda quanto gli chiediamo e voglia preservare il vostro lavoro da ogni pericolo.
Voglia Dio che mai più altre mani assassine possano ripetere gesti delittuosi, disumani e barbari, per i quali, poi, ci si debba raccogliere in preghiera per piangere morti! Voglia Dio che la società possa ritrovarsi assieme per celebrare la vita e tante vittorie sostenute in nome ed a favore della vita, che possano meritare benemerenze, plauso e compiacimento ai protagonisti, alle loro famiglie, ai corpi di appartenenza. Voglia Dio che le nuove generazioni possano guardare ad uomini come gli Appuntati scelti Antonino e Vincenzo, quali eroici paradigmi per l’affermazione del bene, esempi trascinanti a cui ispirare la loro vita di cristiani e di cittadini.
Signore Dio, con fede, questa mattina, noi ti preghiamo di concederci, per il sacrificio dei carabinieri Fava e Garofalo, la guarigione dai nostri mali atavici: se vuoi, tu puoi guarirci! Noi lo speriamo e, per questo, ti preghiamo di poter udire anche noi, come il lebbroso, la tua parola liberatrice: lo voglio, guarisci!
* arcivescovo di Reggio Calabria - Bova
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