Avvenire di Calabria

Stamattina il quotidiano dei cattolici italiani ha dedicato un'ampia intervista all'arcivescovo eletto di Reggio Calabria - Bova

Morrone ad Avvenire: «Dietro “inchini” e processioni un legame mercantile con Dio»

«Poveri, giovani e sacerdoti: ecco le mie priorità», svela il presule che aggiunge, nella lotta alla criminalità «ho avviato percorsi di conversione»

di Gianni Cardinale *

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Ipoveri, i giovani e i preti. Sono queste le priorità pastorali di monsignor Fortunato Morrone, nuovo arcivescovo di Reggio Calabria-Bova. Per una Chiesa sinodale a fianco degli ultimi sul solco tracciato da un grande prete reggino, don Italo Calabrò, e profondamente impegnata nel patto educativo auspicato da papa Francesco. «I giovani – spiega il presule – non sono solo il nostro futuro ma sono anche loro i poveri di questi nostri tempi, perché non sempre noi adulti siamo capaci di custodirli ». Avvenire ha intervistato Morrone alla vigilia della sua consacrazione episcopale che si tiene oggi a Crotone.

Eccellenza, lei è il terzo sacerdote generato dalla parrocchia di Isola Capo Rizzuto ad essere nominato vescovo nel giro di pochi anni. Gli altri sono Giuseppe Caiazzo (Matera) e Antonio Staglianò (Noto). Come spiega questa singolare circostanza?

A Isola abbiamo avuto davvero dei buoni e santi sacerdoti: penso a don Pietro Bagarotti, a don Giacinto Scalzi, ai padri rosminiani con don Riccardo Alfieri, che hanno promosso una “mentalità comunitaria e di preghiera”, che ha rafforzato il tessuto ecclesiale e umano del nostro territorio, nonostante le difficoltà ambientali. È da questo fiume di orazioni che sono emerse a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso ben tredici vocazioni sacerdotali, alcune delle quali ancora in itinere.

Come è nata la vocazione al sacerdozio?

Il Vangelo mi ha sempre attratto, fin da piccolo. Una prima voce chiara è giunta a Battipaglia all’Opera Bertoni dei padri stimmatini. Eravamo negli anni Settanta. Si respirava un bel clima familiare, i padri erano giovani, si percepiva l’influsso benefico del Concilio. Al liceo della città tra gli amici studenti c’era chi simpatizzava per Lotta Continua, chi stava sul fronte opposto, chi seguiva Comunione e Liberazione. Dibattiti forti, anche accesi, sostanziosi. Per me diventava sempre più evidente che Gesù era la risposta a tutte queste tensioni ideali. In questo contesto la chiamata del Signore si è fatta un po’ più forte.

Con gli stimmatini a Verona e qui studi di teologia. Ma poi, nel 1983, è diventato prete diocesano.

Sono grato ai padri: dodici anni di benedizione. C’è stato un discernimento, che mi ha fatto apprezzare ancor di più la libertà di spirito degli stimmatini. All’epoca, dal 1974, a Crotone era vescovo il grande Giuseppe Agostino e nella nostra diocesi c’era penuria di sacerdoti. Insieme anche con don Alfieri decisi che era cosa buona tornare “in patria”.

Da prete ha studiato a Roma, svolgendo una fruttuosa attività pastorale nella parrocchia di Santa Caterina da Siena a piazza Galeria. Che ricordo ha di quel periodo?

Qui ci siamo ritrovati con don Pino (Caiazzo, ndr) e con don Tonino (Staglianò, ndr). Alla Gregoriana ho avuto la fortuna di seguire professori del calibro dei padri Alszeghy, Alfaro, Galot, Latourelle, Demmer. In parrocchia ho avuto modo di vivere accanto a un vero uomo di Dio, don Aldo Zega, dal grande cuore. «Se non abbiamo la passionaccia per il Vangelo che facciamo noi preti?», amava ripetere. Don Aldo mi affidò un gruppo di giovani post-cCesima, tra loro c’era anche Paolo Ricciardi, carissimo amico, che ora è vescovo ausiliare di Roma.

La sua tesi di dottorato, poi pubblicata dalla Jaca Book, è stata sulla figura di John Henry Newman. Che cosa l’ha colpita di più di questo grande teologo?

Molte cose. L’intelligenza acuta accompagnata da una fede semplice, chiara. Poi l’onestà intellettuale di chi era partito per fare l’apologia della comunione anglicana nella quale era cresciuto, ma dopo aver studiato e meditato i padri della Chiesa passò alla Chiesa di Roma. E poi la sua visione esistenziale e dinamica della dottrina, l’attenzione alla carità e al ruolo dei laici.

Nel corso della sua vita sacerdotale ha insegnato teologia, ma ha svolto attività pastorale anche come assistente diocesano e regionale dell’Azione cattolica e come parroco in cinque diverse parrocchie dell’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina. Quali le gioie e quali i dolori di questa esperienza?

La gioia più grande è stata quella di percepire con gratitudine di essere cresciuto insieme alle persone che hai accompagnato. Con loro ho interiorizzato sempre di più che solo seguendo Gesù possiamo diventare più umani, più autenticamente liberi. Questa è la pretesa cristiana.

La Calabria è una regione ricca di storia e di fede, ma anche segnatedrammaticamente dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata. Che cosa può fare la Chiesa per affrontare questo fenomeno?

Da parte mia, ho sempre cercato di lavorare sul versante della coscienza, del rapporto personale. Vanno benissimo i proclami e le manifestazioni. Ma se non accade un cambiamento interiore e di mentalità culturale non si va da nessuna parte. A San Leonardo di Cutro la mia scelta di fondo è stata di entrare in rapporto con le famiglie che soffrono per i mariti, i figli, i genitori, i fratelli in carcere. Incrinare una mentalità radicata, non è facile, ma poco alla volta qualcosa si riesce a fare. Quando le persone scoprono la bellezza del Vangelo in loro si avvia un processo di conversione, che può arrivare a toccare – mi è capitato di sperimentarlo – anche il cuore dei più duri.

Riguardo a questo si discute sulla questione della scomunica, quella delle processioni con gli “inchini” e quella delle figure dei padrini…

Sulla scomunica Giovanni Paolo II ad Agrigento e papa Francesco a Sibari sono stati chiarissimi. Per le processioni è necessaria un’evangelizzazione più profonda per superare la concezione mercantilistica del rapporto con Dio. Dovuto anche, non è una giustificazione, al fatto che in molte delle nostre contrade il passaggio alla modernità non c’è stato. Riguardo ai padrini nei sacramenti, il loro ruolo non è accessorio: rappresentano la comunità che si fa garante della crescita nella fede dei battezzandi e dei cresimandi. Tuttavia considerando determinate circostanze sarebbe opportunosospenderlo, per riflettere e poi riprenderne il senso testimoniale eliturgico.

Quando e come ha ricevuto la notizia della nomina episcopale?

Otto giorni prima l’annuncio.

Era il 12 marzo, di venerdì. Sono stato chiamato e convocato in nunziatura. Naturalmente ho intuito che c’era qualcosa nell’aria. Ma quando il martedì successivo in via Po mi è stata notificata la scelta del Papa sono rimasto davvero sorpreso. Negli ultimi decenni infatti a Reggio Calabria non si arrivava come prima nomina.

Quale saranno i suoi primi passi come arcivescovo?

Il 12 giugno dopo l’ingresso in diocesi andrò ad Arghillà, un quartiere problematico della città, ma con una vivace realtà ecclesiale. Lì visiterò anche il carcere. Poi nella settimana successiva mi recherò a pregare sulla tomba di don Italo Calabrò, sacerdote di grande spessore evangelico che ha aperto sentieri caritativi eccezionali.

Un’ultima domanda. La Chiesa italiana ha intrapreso un cammino sinodale. Come immagina questo percorso?

La struttura sinodale è costitutiva della Chiesa fin dalla prima chiamata dei discepoli. Papa Francesco ci ha chiesto di assumere un permanente stile sinodale ma partendo “dal basso”, coinvolgendo realmente nel cammino e nella reale e riconosciuta corresponsabilità tutti i membri del popolo di Dio, a cominciare a mio modo di vedere dalle donne, spina dorsale delle nostre comunità. In quanto Chiesa “in uscita” il cammino sinodale ci impegna all’ascolto attento e serio non solo ad intra, ma anche fuori dai nostri “sacri recinti”. Specialmente nei confronti di coloro che abitano diversamente i nostri territori e hanno ricchezza umana da regalarci: lo Spirito sempre ci precede. E anche verso chi ha abbandonato le nostre comunità a causa della nostra timida testimonianza e qualche volta a causa della contro testimonianza evangelica che ha scandalizzato i “piccoli”.

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