Avvenire di Calabria

Barba e baffi bianchi, così aveva provato a camuffarsi. Era latitante dal 2014

‘Ndrangheta, estradato il boss Leo Caridi

Federico Minniti

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Barba e baffi bianchi, così aveva provato a camuffarsi Leo Caridi, reggente-latitante dell'omonima cosca, federata con i Borghetto-Zindato, ed egemone nella periferia sud di Reggio Calabria. Era scappato in Svizzera, per l'esattezza a Ried Brig (Cantone Vallese), lo scorso 6 dicembre del 2014. Si sentiva «sfiduciato dalla giustizia italiana», così giustificò la sua latitanza, il suo avvocato difensore. Eppure Leo Caridi, tratto in arresto nell'operazione “Alta Tensione 2” nel 2011, era un boss moderno col fiuto degli affari e – secondo quanto emerso anche dai rivolti processuali – con la capacità di insinuarsi nella Pubblica Amministrazione. Attraverso Pino Plutino, eletto come consigliere comunale, tra le fila del Pdl, e già condannato dai giudici della Corte d'Appello a nove anni di reclusione per associazione di stampo mafioso. Plutino successe a un altro Caridi come assessore all'Ambiente, quel Stefano Antonio, senatore e oggi imputato come parte del direttorio masso-mafioso che governò Reggio Calabria. Un settore quello dell'ambiente caro alle cosche, non di meno al clan retto da Leo Caridi, oggi estradato dalla Svizzera, grazie all'intervento del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia (Scip). Caridi è già stato condannato a 10 anni di reclusione per associazione mafiosa e secondo i giudici sarebbe il vero controllore dell'attività estorsiva nei quartieri di Ciccarello, Modena e San Giorgio Extra di Reggio Calabria.

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