Avvenire di Calabria

Il cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas italiana, ha partecipato al dibattito di Nuova Solidarietà

Oltre 60mila pensioni «pagate» dai migranti

Federico Minniti

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Migranti, tra accoglienza e indifferenza. Non lascia spazio ad alibi di alcun tipo, l’incontro promosso dall’associazione “Nuova Solidarietà” di Salice, nell periferia nord di Reggio Calabria, e che pone al centro del dibattito un tema spesso bistrattato.

Ma siamo davvero convinti i migranti rappresentino un problema? A scorgere alcuni numeri si appalesa il contrario: lo Stato italiano, fra i costi e i finanziamenti connessi al fenomeno, chiude con un saldo positivo di nove miliardi di euro.

Potrebbe bastare questo, ma forse sarebbe troppo “cinico”. E allora: sono cinquemila le aziende aperte dai migranti stabilizzati che hanno versato all’erario tasse utili per pagare le pensioni a 64mila italiani. Un altro indizio? Sono 35mila le classi scolastiche che sarebbero state soppresse senza l’arrivo dei minori stranieri per un’ulteriore emorragia lavorativa per 62mila insegnanti che invece, così, hanno preservato il loro posto di lavoro.

Dati che indicano come occorre cambiare punto di vista. Per farlo effettua una doppia scelta fortemente simbolica: la prima è la location. Si tratta, infatti, della tendo–struttura del parco verde gestito dall’associazione che nel 2015 accolse – su input delle autorità civili e religiose – ben trecentosessanta minori stranieri non accompagnati.

Un’esperienza che segnò nell’animo la realtà solidale che da trent’anni opera sul territorio reggino a tal punto da sviluppare un percorso che ha trovato come sintesi essenziale proprio la costruzione di una Casa della solidarietà a Catona che funge da centro di prima accoglienza.

Accanto a questo aspetto certamente ha dato vigore all’iniziativa la presenza del cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana.

Ad accogliere il cardinale sono giunte a Salice i massimi rappresentanti istituzionali, quali il prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, e il sindaco della Città dello Stretto, Giuseppe Falcomatà. Accanto a loro Enzo Petrolino, presidente della Comunità dei diaconi in Italia, don Simone Gatto, parroco di Salice, e don Nino Pangallo, direttore della Caritas diocesana di Reggio Calabria – Bova. L’incontro è stato moderato dal giornalista Francesco Scopelliti.

Ha parlato di «dovere morale» il presidente dell’associazione “Nuova Solidarietà”, Fortunato Scopelliti, che ha sottolineato l’importanza «dell’azione sociale volta ai bisogni emergenti».

Un’attenzione specifica che è stato il grande filo rosso che ha unito tutti gli interventi che si sono susseguiti. Certamente molto interessante è stata la presa di posizione del prefetto Michele Di Bari che non ha esitato a ringraziare pubblicamente l’arcivescovo di Reggio Calabria, padre Giuseppe Fiorini Morosini, e tutte le associazioni di volontariato cattoliche che sin dal primo minuto non hanno esitato a spendersi al servizio dei migranti. Allo stesso tempo Di Bari ha affermato come «non si può immaginare che questa situazione gravi solamente sulle spalle dei volontari» auspicando ad un’accelerazione nel merito delle nuove misure in discussione proprio sul tema dell’accoglienza. Attenzioni che richiede con costanza il sindaco Falcomatà che – nonostante le difficoltà – ha voluto esporre al cardinale Montenegro come Reggio e la Calabria siano in primissima persona impegnati per sopperire ad una situazione di continua e somma urgenza.

Ad introdurre l’intervento del presidente della Caritas Italiana ci ha pensato Enzo Petrolino che ha presentato le molteplici attività svolte dall’associazione “Nuova Solidarietà”.

«Continuare a dire che sia un’emergenza è l’errore più grave che possiamo commettere, – ha detto il cardinale Montenegro – ormai sono decenni che i migranti arrivano sulle nostre coste e ancora noi ci ostiniamo a definirla emergenza allora vuol dire che qualcosa non funziona. Dobbiamo prendere atto che si tratta di una situazione che c’è e non possiamo trattarla come se fosse di passaggio».

Parole chiarissime le sue che partono da un assunto che parla proprio al cuore dei presenti: «Se dobbiamo parlare dei migranti, allora dobbiamo iniziare con il guardarci dentro» ha sferzato l’assemblea presente il cardinale Montenegro. Come è possibile fare le categorie sui poveri? Gli italiani andrebbero (l’ipotetico è d’obbligo) bene, mentre gli stranieri no? «Bisogna interiorizzare ciò che accade.

“Devono tornarsene a casa loro”, ma siete proprio sicuri che il problema sia una casa?».

Interrogativi che pesano come macigni. «Queste cose noi dobbiamo dircele. Sapete cosa mi dicono spesso quando parlo con loro: “Ma perché ci guardate e non sorridete?”». L’accoglienza è uno stile di vita da esercitare continuamente.

Lampedusa e quelle 239 salme, poi, sono un continuo monito per l’arcivescovo di Agrigento.

«Vi confesso di aver vissuto il buio di Dio. Per ore ho detto: “Dio non può permettere tutto questo”». «Io dovevo consolare quel dolore e mi sono sentito tradito – prosegue il cardinale – ad illuminarmi le lacrime di un poliziotto. Piangeva come un bambino». Questo vuol dire accogliere nella carità, accogliere fino alla compassione. Bisogna distinguere, secondo Montenegro, «la tolleranza dall’integrazione» e su questo tira in ballo la «politica litigiosa». «La verità è che la povertà ci da fastidio – spiega – e su questo si specula creando ad arte dei casi inesistenti. Io credo che si stia cavalcando la sindrome della paura; si tratta di una realtà pienamente gestibile se anzicché fomentare i populismi, cercassimo soluzioni praticabili».

Pertanto i migranti non solo non rappresentano un limite, ma sono realisticamente un’opportunità: «Dobbiamo proiettarci in avanti, in una società italiana ed europea che sta invecchiando. Credo – ha concluso il cardinale Montenegro – che questa mancanza di sguardo al futuro ci stiamo portanto a farci del male da soli».

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