Avvenire di Calabria

Anna Arcudi fa la restauratrice sullo Stretto; ci ha svelato come ha raggiunto i suoi obiettivi lanciando una sfida alla collettività

Oltre l’emergenza. Calabria, donne e cultura, il tempo è adesso

Federico Minniti

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Restauratrice e docente, Anna Arcudi risponde – in senso ostinato e contrario – al principio che di «cultura non si può vivere». Tutt’altro: «Chi lo dice, pensa alla cultura come un diversivo. È, invece, il patrimonio più importante della nostra terra», precisa immediatamente.

Quali sono state le insidie più “pericolose” da evitare?
Il mio è stato un percorso impegnativo e lungo, affascinante. L’insidia da evitare è ritenersi arrivati, occorrono formazione e studio permanenti e confronto con realtà e professionisti in ambito nazionale e internazionale.

Nel raggiungimento dei suoi obiettivi, l’essere donna è stata una ulteriore difficoltà?
L’Italia è ancora un paese al maschile, generalmente per un uomo è più facile raggiungere traguardi professionali e, soprattutto, gestire tempi e scelte di vita. Il mondo del restauro sembra essere in controtendenza: siamo una maggioranza di donne, con ruoli diversi, tecnici e dirigenziali, sia nel pubblico che nel privato.

Cosa manca al nostro territorio affinché la sua storia sia una “prassi”?
La tipologia del mio lavoro, ma ritengo soprattutto il livello di specializzazione, mi hanno consentito di scegliere il luogo in cui vivere e lavorare, ed io ho scelto di ritornare in Calabria, dopo 16 anni di esperienze italiane ed estere. Ma i ritorni non sono una prassi. Il nostro è un territorio a cui sembra mancare il futuro, ripiegato dentro le valigie di chi parte e non ritorna. Chi resta deve progettare, investire e costruire per invertire questo esodo.

Tre parole–chiave per far ripartire il patrimonio culturale.
Visione, formazione, programmazione. Alla luce delle più recenti riflessioni sul patrimonio culturale, la marginalità della Calabria costituisce oggi in realtà un’opportunità da non sprecare. C’è molto da costruire, e si può ancora farlo nella giusta direzione, rifuggendo da una visione consumistica, superficiale e mercantile del patrimonio culturale, verso una tutela e valorizzazione che ne rispetti, studi e promuova le differenti identità artistiche, antropologiche e sociali.

Altrettanto prezioso è il patrimonio dei beni culturali ecclesiali. Pensa che la Chiesa stia sfruttando a dovere il proprio potenziale?
I beni culturali ecclesiali costituiscono un patrimonio straordinario che necessita di una particolare attenzione soprattutto quando legato agli aspetti liturgici e di culto. Mi sembra che la Chiesa stia lavorando nella giusta direzione in stretta collaborazione con le Soprintendenze ed i tecnici della conservazione. Il mio consiglio è di continuare sulla strada della formazione del clero in questo settore.

Dovesse rivolgersi a una neo–diplomata che sogna di fare la restauratrice: perché restare in Calabria?
Oggi per diventare restauratori è necessario frequentare un corso di laurea quinquennale, come avviene per tutte le altre professioni. All’Università della Calabria, dove insegno, è possibile frequentare il corso di restauro dei materiali lapidei e derivati, per gli altri settori è necessario formarsi al di fuori della nostra regione. La Calabria è una terra piena di tesori, non manca il lavoro per i restauratori. Restare è anche un investimento professionale, a volte il rischio è l’isolamento rispetto allo scenario della ricerca nel settore. Per questo occorre formarsi molto bene e conservare il confronto con le migliori realtà.

Articoli Correlati