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Monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, riflette sulla vicinanza della Chiesa italiana a papa Francesco, sottolineando il valore della preghiera, della corresponsabilità ecclesiale e della fragilità vissuta come testimonianza di fede e di amore per la missione.
«Nel pregare per lui, ci accorgiamo di come egli continui a confermare la nostra fede». Monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, riflette sulla vicinanza della Chiesa italiana a papa Francesco durante il suo ricovero al Gemelli, sottolineando il valore della preghiera, della corresponsabilità ecclesiale e della fragilità vissuta con trasparenza.
È stato un movimento spontaneo che ha coinvolto non solo le comunità ecclesiali, ma anche i singoli fedeli e tante persone che si avvicinano a noi, chiedendo notizie e volendo quasi che ci facessimo strumento della loro vicinanza al Santo Padre. Questo mi ha molto colpito. Significa che la sua parola, il suo esempio e la sua figura sono entrati nelle case, diventando quasi parte della famiglia. L’altra ragione di questa vicinanza è la preghiera, perché il Papa ha un legame speciale con le Chiese in Italia, essendo vescovo di Roma e primate d’Italia.
Ma c’è qualcosa di più profondo del semplice sentimento: emerge la consapevolezza della comunione cattolica che è con Pietro, il quale è chiamato a confermare nella fede e a presiedere la comunione nella carità. Quello che sta emergendo con chiarezza e bellezza è che, nel pregare per lui, ci accorgiamo di come egli continui a confermare la nostra fede. In questo modo, sta esercitando il suo ministero petrino, confermando i fratelli nella fede e testimoniando la carità. Pensiamo ai bellissimi testi dell’Angelus: il Papa non esita a parlare della sua debolezza, ma la sua fragilità è illuminata dall’amore di Cristo».
Non è una mera emozione: è la coscienza del valore della sua persona per noi, in quanto uomo e in quanto Pietro. È un affetto che si traduce in comunione, un segno della relazione viva tra il Papa e il popolo di Dio».
Il Papa ha sempre sottolineato, sin dalla prima sera del suo pontificato, quando si affacciò a Piazza San Pietro, che il popolo è affidato alla cura del pastore, così come il pastore deve affidarsi alla sollecitudine del popolo. È il popolo che ci sostiene, che ci fa stare in piedi. Da una parte, vogliamo essere accanto a lui con la nostra vicinanza, la preghiera e l’affetto.
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Dall’altra, la corresponsabilità significa prendere come riferimento la sua parola, il suo esempio, la sua linea pastorale: la sinodalità, la misericordia, l’incontro con Cristo. Pensiamo alla prossima assemblea sinodale: c’è una viva consapevolezza che questo cammino è stato aperto da lui. Ha chiesto alle Chiese in Italia di percorrerlo, e oggi la corresponsabilità significa anche assumere le sue indicazioni come linea pastorale, specialmente in questo momento in cui ci sta testimoniando con la sua fragilità una fede salda e un amore grande.
È la dinamica dell’amore: chi ama vuole vedere. Ma c’è qualcosa di più profondo. Questo Papa si è posto come uno di noi, un compagno di cammino. Pensiamo a quando parla dell’“odore delle pecore”: ha sempre voluto vivere da pastore in mezzo al suo popolo. E c’è un altro aspetto da rimarcare: la prima foto diffusa dopo un lungo ricovero lo ritrae davanti all’altare. È un’immagine che suggerisce la sua posizione davanti al mistero della vita, della sofferenza, del dolore. Anche in questo modo continua a esercitare il suo ministero, continua a mandare messaggi forti e a guidare la Chiesa.
Dobbiamo saperla cogliere e leggere. Questa testimonianza ci dice che la vita va vissuta sempre, in ogni suo frammento. Non ci sono momenti privi di senso o senza valore. Anche quella foto, l’insistenza nel comunicare che prega e lavora, sono un modo per dire: “Sto vivendo intensamente questa circostanza”. In un Angelus, il Papa ha spiegato che nella fede la fragilità diventa annuncio della forza della vita. Siamo vasi di creta, ma conteniamo un tesoro che non è quello dell’efficienza, ma dell’amore. È la testimonianza del ministero petrino: Pietro, nel Vangelo, ha risposto a Cristo dicendo “Tu sai che ti amo”, e Gesù gli ha annunciato che un giorno, da vecchio, sarebbe stato condotto da un altro. Anche nella fragilità e nella dipendenza da altri si esprime l’amore per il Signore, la cura pastorale e la testimonianza.
Mi sembra un atteggiamento irriguardoso, perché non tiene conto della coscienza del nostro pastore, che è l’unico a decidere, davanti a Dio, il futuro del suo ministero. Francesco ha parlato più volte con chiarezza di questo tema. Speculazioni e interpretazioni sono inconcludenti, perché non servono a nulla, non sono veritiere e, soprattutto, non sono rispettose.
È anzitutto un messaggio di amore a Cristo. Come ha scritto citando Benedetto XVI, all’origine della vita cristiana c’è un incontro personale con Cristo, e lui lo sta testimoniando anche ora. Poi, è una testimonianza di dedizione alla missione: la Chiesa esiste per annunciare Cristo Salvatore. Il Papa ha mostrato un’ansia pastorale che lo porta a incontrare le persone, a parlare, a stare tra la gente.
Il senso ultimo della nostra vita è permettere agli uomini di incontrare il Signore. Infine, il tema della sinodalità ci ricorda che l’annuncio si realizza nella comunione. La sinodalità è lo strumento per promuovere la partecipazione di tutti i battezzati alla missione della Chiesa. Al centro, c’è la domanda di Gesù: “Mi ami tu?”. È da qui che nasce tutto.
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