Avvenire di Calabria

Ha inizio un tempo in cui si è chiamati a dedicarsi all’altro prestando attenzione ai bisogni spirituali e non solo materiali

Quaresima al via, riscoprire davvero il dono della carità

Il farsi prossimi, che deve diventare uno stile, è necessario riparta dagli ultimi per metterli al centro di un processo di “liberazione”

di Mariangela Ambrogio *

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Quaresima al via, riscoprire davvero il dono della carità. Ha inizio un tempo in cui si è chiamati a dedicarsi all’altro prestando attenzione ai bisogni spirituali e non solo materiali.

Quaresima al via, riscoprire davvero il dono della carità

La Quaresima è un tempo grazia. Ci offre l’occasione di porci in ascolto della Parola di Dio. Siamo invitati ad alzare gli occhi su Lui per contemplarlo e sentirci amati. Rigenerati da questo amore, diventiamo docili, pronti ad ad allargare il nostro cuore agli altri in un dinamismo continuo che richiede di rinnovare la nostra conversione. Abbiamo l’opportunità di dedicare spazio alla penitenza, alla preghiera e al digiuno, non solo per via di un ossequio alla tradizione, ma prestando attenzione per comprendere intimamente cosa significhino per ciascuno di noi e all’interno delle nostre comunità.


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L’incontro con l’altro diventa «tempo favorevole», perché ciò avvenga. Ogni giorno attraverso le nostre Caritas parrocchiali, siamo chiamati a rispondere ai bisogni più immediati del nostro prossimo. Il pasto, gli alimenti, una bolletta, sono aiuti indispensabili, ma sono soprattutto strumenti per incontrare persone fragili. Sono nostri fratelli che non possono essere costantemente dimenticati e messi ai margini o etichettati con parole che non tengono conto della dignità, delle aspirazioni, dei sogni, dei talenti di ognuno.

Talvolta dobbiamo compensare le mancanze dello Stato e non sempre facciamo il vero bene dell’altro e della comunità. Stare vicino ad una persona che soffre, accoglierla ed accudirla, è una forma meravigliosa di carità, ma, come ci ricorda papa Francesco, è carità anche eliminare le cause della sua sofferenza.

Il nostro farci prossimi, che deve diventare uno stile, è necessario riparta dagli ultimi per metterli concretamente al centro di un processo di “liberazione” teso a restituire loro davvero piena dignità umana. Non possiamo più limitarci a fare assistenzialismo, a lasciare che questa politica faccia passare i diritti sociali come concessioni, come fossero un lusso che non sempre ci si può permettere.

Dopo questo tempo di pandemia che ci ha impoveriti tutti un po’ di più non solo sotto l’aspetto materiale, ma anche spirituale, siamo chiamati a superare l’ottica del gesto di carità che si configura come una mera raccolta di viveri attraverso il cesto in fondo alla chiesa, ma dobbiamo diventare artigiani di cura. Cristiani capaci di parole vere e di opere segno autentiche che mostrano il volto di Cristo.


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Dobbiamo impegnarci a far «sentire la carità» all’interno delle nostre case, nelle nostre comunità, nei luoghi dove si decidono i diritti. La cura delle persone deve esplicarsi attraverso la comprensione non solo delle loro situazioni o condizioni, ma anche delle loro storie e delle loro narrazioni.

Nel cammino sinodale che stiamo vivendo non solo come Chiesa universale, ma anche locale, l’ascolto ci aiuta a fare attenzione alla parola che cura. Parola che diventa dialogo e permette l’accoglienza. I giovani, le famiglie in difficoltà, i malati, i migranti: tutti hanno dei sogni, e le loro sorti «ci interessano».

La carità, dunque, si manifesta come luogo dell’incontro autentico che si apre al cambiamento e fa sentire la persona parte di una comunità. In queste dinamiche le nostre storie personali, anch’esse cariche di fragilità, alla luce della nostra Speranza, diventano risorse preziose da condividere con tutti i nostri compagni di viaggio.


* direttore Caritas diocesana Reggio Calabria - Bova

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