Avvenire di Calabria

È la provincia più a rischio, bar e ristoranti le attività più facili per lavare i soldi

Reggio Calabria, capitale del riciclo di denaro sporco in Italia

Redazione Web

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di Luca Zorloni (wired.it) - Un indice per misurare il rischio di riciclaggio di denaro nelle province d’Italia o nelle attività produttive e commerciali. È questo l’ultimo strumento messo a punto da Transcrime, istituto interuniversitario che si occupa di criminologia. Incrociando vari set di dati, dall’uso del contante alla presenza di criminalità organizzata e mercati illeciti, il sistema individua le aree, per geografia o business, dove si lava più denaro sporco. La provincia più a rischio è quella di Reggio Calabria, il cui capoluogo nel 2012 è stato il primo Comune sciolto per mafia in Italia. Al centro soffre Prato, a nord Imperia. Bar e ristoranti rappresentano le attività commerciali che più di frequente nascondono lavanderie di soldi della mala, insieme al gioco d’azzardo e ai centri massaggi.

Il riciclaggio di denaro è la linfa delle attività del crimine organizzato e del terrorismo. Sapere dove si trovano le casse che alimentano questo flusso di soldi significa privare malavita e terroristi di una forma di potere e influenza: il denaro facile.

Lo stesso Gruppo d’azione finanziaria internazionale, un ente intergovernativo che si occupa di elaborare strategie per contrastare il riciclaggio di denaro, raccomanda agli stati di individuare, valutare e capire i rischi. Quello che ha fatto l’indice di Transcrime. Che dati considera l’indice? I ricercatori di centro universitario hanno preso in esame rischi e vulnerabilità, con leggere differenze tra territori e settori produttivi.

Per studiare le province italiane, si considerano come fattori di rischio il crimine organizzato, il mercato illegale (che comprende spaccio di droga, contraffazione, contrabbando di sigarette e vede la Campania in cima alla lista) e l’evasione fiscale. I fattori di vulnerabilità sono l’intensità di uso del contante e l’opacità della titolarità delle attività commerciali.

Il primo elemento è noto. L’Italia è uno dei paesi europei con la più solida infrastruttura di pos (acronimo per point of sale, gli apparecchi per le transazioni con carte di credito) e allo stesso tempo uno di quelli in cui si fa ricorso ai contanti più di frequente.

“Il secondo fattore è stato tra i più complessi da misurare”, spiega Michele Riccardi, ricercatore di Transcrime, e stabilisce la distanza tra l’attività commerciale il suo proprietario effettivo. Più è lunga questa distanza, maggiore è il numero di scatole societarie che, una dentro l’altra, rendono più difficile individuare il vero titolare del business.

Il centro Transcrime si è basato su dati di Bureau Van Dijk, multinazionale specializzata in informazioni e archivi sulle aziende. “Uno dei dati che ci è stato comunicato riguarda proprio titolari e azionisti di società italiani – prosegue Riccardi -. È stata la prima indagine su vasta scala dei titolari di azienda. Per la prima volta siamo riusciti ad analizzare la struttura e la proprietà di aziende italiane, su un campione di 3,7 milioni di aziende, che rappresentano oltre 5 milioni di titolari”.

In media, in Italia l’indice è di 1,2, dove 1 sta per controllo diretto. Quindi, nel complesso, l’indice di Transcrime restituisce un paese di piccole imprese a gestione familiare, rispetto a una media europea di 1,5. Ci sono, tuttavia, indici più alti se si entra nel dettaglio. La provincia di Imperia ha un indice di 1,5, Catanzaro, Savona, Bolzano e Milano di 1,4. Settori produttivi dominati dalle multinazionali, come quello elettrico, assicurativo o farmaceutico, restituiscono dati più alti (rispettivamente di 2,1, di 1,9 e 1,7), mentre il gioco d’azzardo ha un indice di 1,5.

Transcrime ha analizzato anche la presenza di azionisti e titolari effettivi di origine straniera in Italia: sono, rispettivamente, l’1,7% e l’1,3% del totale. Se i titolari effettivi sono persone fisiche (in carne e ossa, per intenderci) la nazionalità più rappresentata è quella spagnola, con il 21,7% del totale, seguita dalla Svizzera (13,2%). Se si analizzano le persone giuridiche, ossia le società, il passaporto più frequente è quello del Lussemburgo: con un tasso del 7,5%, lo staterello è la destinazione dove alcune aziende decidono di spostare la sede per avvantaggiarsi dei benefici fiscali.

Sovrapponendo i dati, l’indice elaborato da Transcrime conferma anche a livello numerico le correlazioni tra criminalità organizzata, economia sommersa e uso del contante nei pagamenti. La classifica generale delle province italiane più a rischio riciclaggio vede in testa Reggio Calabria, seguita da Vibo Valentia, Catanzaro e Crotone. È un riflesso degli affari sporchi della ‘ndrangheta, che lava il denaro nero in attività commerciali. Al quinto posto si colloca Napoli, seguita da Imperia, vulnerabile come tutte le zone di confine. Si prosegue con Caserta, Agrigento, Palermo, Caltanissetta e Trapani. L’undicesima provincia è quella di Prato. Transcrime rileva anche una soglia di rischio da allerta anche in provincia di Latina, nella Sicilia occidentale e nel triangolo tra Lombardia, Piemonte e il confine con la Svizzera.

“È stato più difficile identificare le proxy giuste per analizzare i settori commerciali – osserva Riccardi -. Ci sono anche meno dati”. I ricercatori sono partiti dalle 80 divisioni della Nace, la classificazione statistica delle attività economiche della comunità europea. Tra i fattori di rischio ricorrono criminalità organizzata ed economia sommersa; tra le vulnerabilità l’intensità del contante e l’opacità della struttura societaria. Ristoranti e bar si sono confermati le attività più facili per lavare denaro, seguiti da case da gioco, casinò e slot machine, e dal settore dei servizi alla persona, per via dei centri massaggi.

“L’analisi è esplorativa e preliminare”, precisa il ricercatore. Tra i fattori esclusi, ad esempio, c’è la corruzione, che pure è un fenomeno pesante in Italia, ma “difficile da misurare a livello territoriale – spiega Riccardi -. E senza buoni dati questo approccio non funziona bene”.

Il ricercatore rileva che in Italia “dovremmo avere dati migliori sui cosiddetti reati preuspposto, quelli che generano proventi criminali alla base del riciclaggio. Come la corruzione, l’usura o l’estorsione. I dati sono carenti perché queste minacce hanno un elevato numero oscuro. Vorremmo anche avere dati migliori per settore economico sulle segnalazioni sospette a clienti e persone giuridiche”.

Alla prova pratica, a chi può servire un indice sul riciclaggio di denaro? “Sicuramente è utile a pubblica amministrazione e forze dell’ordine per fare pianificazione. Sapere quali siano le aree territoriali e i settori più a rischio permette di allocare meglio le risorse e di concentrare le indagini – spiega Riccardi -. Un altro uso cruciale riguarda i soggetti che devono fare pratiche antiriciclaggio: professionisti, banche, case da gioco. Se un cliente viene da una determinata area o da un settore commerciale, si avranno livelli di rischio diversi”.

L’indice elaborato da Transcrime fa parte di un progetto di ricerca europeo, Iarm (Identifying and assessing the risk of money laundering in Europe), iniziato a febbraio del 2015, che l’istituto ha coordinato e che ha coinvolto anche l’ateneo di Leicester nel Regno Unito e Vrije in Olanda. Al progetto di Transcrime, che coinvolge le università Cattolica di Milano, Alma Mater di Bologna e quella di Perugia, hanno collaborato anche l‘Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, l’ufficio che si occupa di antiriciclaggio, e il ministero dell’Economia e delle finanze, più i ministeri olandesi del Tesoro e della Giustizia. L’indice finale sarà pronto a febbraio del prossimo anno.

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