
Economia e mafie, parola di magistrato: «Fare impresa si può»
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, analizza le trasformazioni nei rapporti tra imprese
La strage di Capaci ha ispirato un’intera generazione di Pm antimafia, tra questi, anche Stefano Musolino. Il magistrato in forza alla Dda ha firmato alcune delle inchieste più importanti nella storia recente del contrasto alle mafie, nella città in cui è nato, cresciuto e ha deciso di operare.
Ricorre l’anniversario di Capaci. Che eredità lascia per chi fa il suo mestiere?
È un evento che ha segnato tutti profondamente, che ha provocato molte “vocazioni” e interrogato tutti su come si faccia questo mestiere, su come si decida di vivere, come si decide di operare.
Dopo quella strage nacque un movimento di antimafia che potremmo definire “di piazza”. Cosa è cambiato da allora, cosa deve ancora cambiare nell’antimafia?
Io non credo che l’antimafia dei cartelli e degli slogan sia di per sé sufficiente. È un’antimafia emotiva, basata sulla reazione ad eventi scioccanti. L’antimafia vera la si fa ogni giorno quando si fanno scelte sulla costruzione del proprio futuro.
Ci sono state istituzionalizzazioni dell’antimafia con prebende pubbliche notevoli, la cui gestione non è stata pulitissima, come dicono le indagini. Quale deve essere l’antimafia del futuro?
La risposta è sempre individuale, però poi deve raccogliersi in uno sforzo collettivo che abbia un’idea di progetto futuro. Ecco, quello che manca da noi in questo momento è una progettualità: i ragazzi vanno via e chi resta lo fa perché pensa di potersi “sistemare”, cioè arrangiarsi e accettare compromessi. E questo è un fattore depressivo che la città vive.
In che senso?
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