Avvenire di Calabria

L'intervista a Sandro Giuffrida (nella foto) medico reggino che guida il Servizio di Igiene e Sanità pubblica

Reggio fa i conti col Covid-19, parla il capo della Prevenzione

Federico Minniti

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«Ci sono duemila reggini, di ritorno dal Nord, in quarantena domiciliare. Speriamo di essere arrivati in tempo». Sandro Giuffrida è un medico reggino che guida il Servizio di Igiene e Sanità pubblica (Sisp) su cui grava l'onere della prevenzione in una terra, Reggio Calabria, dove le strutture ospedaliere sono ridotte all'osso e hanno già dichiarato di non poter fronteggiare l'onda d'urto di una diffusione massiccia del Coronavirus. Sommerso dal lavoro di questi giorni, siamo riusciti a intervistarlo.

Lei guida il Sisp, la struttura delegata alla Prevenzione dell’Asp di Reggio Calabria. Come vi state organizzando per fronteggiare l’emergenza Covid-19?

L’emergenza a Reggio Calabria è iniziata a partire da fine febbraio col primo caso positivo ai primi di marzo. Da quel momento naturalmente l’Ufficio di Igiene pubblica, che dirigo e che fa capo al Dipartimento di Prevenzione, si è attivato con una presenza costante degli operatori dalle 8 alle 20 di tutti i giorni, compreso sabato e domenica. In aggiunta abbiamo avviato anche un reperibilità notturna. 

Coronavirus, come si manifesta? Come riconoscerlo?

Purtroppo i sintomi sono assolutamente sovrapponibili a quelli di una normale influenza o di altre patologie respiratorie con le quali siamo abituati a convivere. Non ci sono elementi che ci consentono di diagnosticare immediatamente che si tratti di Covid-19. Tra l’altro le sindromi influenzali “tradizionali” sono molto presenti in questo che è proprio il periodo epidemico per eccellenza.

Quali sono i consigli che da a pazienti che presentano i primi sintomi? Quali farmaci consiglia di utilizzare?

Qualsiasi soggetto presenti sintomi respiratori non deve immediatamente entrare nel panico. Vanno valutati i singoli casi specifici; certo ci sono due condizioni “particolari” che, associate a particolare sintomatologie, che vanno in ricovero post-acuzie.

Cioè?

Anzitutto se un soggetto proviene dalle «zone a rischio», cioè quelle aree individuate dal Dpcm del 8 marzo che individuava la Lombardia e altre 11 province nel Nord Italia da meno di quattordici giorni. Ma altrettanto rischio di contagio c’è per chi è stato a stretto contatto con un soggetto dichiarato positivo ai tamponi. 

E per chi è asintomatico, quali le precauzioni necessarie? È giusto utilizzare le mascherine?

È chiaro che, in questo momento, la diffusione del virus potrebbe essere anche tra persone perfettamente asintomatiche. Quindi l’utilizzo delle mascherine adatte può ulteriormente proteggerci da possibili persone “contagianti”. Anche noi stessi, inconsapevolmente, potremmo essere “portatori sani” del CovSars2 e trasmetterlo a chi ci sta accanto. Prima ancora dell’uso delle mascherine, però, i cittadini dovrebbero applicare in modo cosciente tutte le indicazioni immediatamente diffuse dall’Istituto Superiore di Sanità: restare il più possibile al proprio domicilio; tenersi a un metro di distanza se costretti a uscire così come nell’ambiente di lavoro; infine, lavarsi costantemente le mani.

Andiamo a dati. L’epidemia sta arrivando lentamente a Reggio Calabria. C’è una stima prudenziale sull’impatto che avrà sul territorio? Quando potremo comprendere l’effetto della cosiddetta fuga dal Nord?

In generale sembra (ma la prudenza è d’obbligo) è che ci sia un andamento molto più lento al Mezzogiorno rispetto al Nord del Paese. L’isolamento domiciliare, la famosa quarantena, per i prossimi 14 giorni potrebbe consentire di interrompere la catena del contagio. Per questo è fondamentale restare a casa. La capacità di isolare quanti arrivano alle «zone a rischio» ci dovrebbe garantire una scarsa diffusione del virus: chiaramente, tutto dipende dalla responsabilità di questi soggetti, perlopiù studenti e insegnanti. Inevitabilmente, fino all’emanazione dell’ultimo provvedimento molto più stringente, è probabile che questi soggetti giunti dal Nord Italia abbiano incontrato familiari e amici, i quali non sono posti in quarantena. Per cui è difficile fare una previsione degli effetti di questo esodo. 

Quanti sono i reggini che si sono auto-censiti dopo il ritorno presso il proprio domicilio e quanti di essi sono in quarantena volontaria?

Negli ultimi giorni sono arrivati in tantissimi. A Reggio Calabria, dai dati in nostro possesso, parliamo di circa duemila persona quasi il 50% rispetto al dato regionale (circa 5mila). C’è da dire che tutti questi soggetti sono stati posti in isolamento per 14 giorni. È una contromisura imprenscindibile: dai casi accertati a Reggio Calabria, circa una decina, sono tutti riconducibili a contatti con persone del Nord Italia o viaggi effettuati al Settentrione. 

Nei casi reggini sinora qual è l’età media dei contagiati?

Confermo che in Calabria il Covid-19 ha colpito mediamente persona con età superiore ai 65 anni. Parliamo del 95% dei casi; il dato epidemiologico nazionale è perfettamente confermato; al momento, nella nostra regione, neanche il 5% dei casi riguardano persone sotto i 50 anni. 

In tanti dicono che il sistema sanitario calabrese si potrebbe collassare a causa della diffusione del virus. Quale è lo scenario massimo che può essere “contenuto” dai nostri ospedali?

La situazione in Calabria è nettamente peggiore rispetto alla Regione Lombardia dove stanno gestendo quasi 10mila casi. Oggettivamente, l’impegno a migliorare lo status quo c’è: sono stati individuati degli ospedali poco utilizzati che verranno eventualmente utilizzati per il ricovero di soggetto affetti da Covid.19. Ci stiamo attrezzando e questo consentirà di disporre di nuovi posti letto: parliamo di quasi un migliaio in più. Di questi, però, saranno molto pochi attrezzati per la terapia intensiva. 

È in contatto con i colleghi della Lombardia o del Nord Italia. Che giornate sono per loro e che consigli vi danno per fronteggiare l’eventuale diffusione dell’epidemia?

L'esperienza del Nord Italia può consentire di aggiornare l'aspetto terapeutico perchè non ci sono terapie efficaci e codificate. Per quanto riguarda l’attività di prevenzione non c’è nulla che sia stato inventato al Nord e che non si stia già facendo anche al Mezzogiorno. 

Come valuta le decisioni del premier Conte; si aspettava un inasprimento seguendo il modello Codogno per il Mezzogiorno al fine di limitare al massimo le possibilità di contagio?

Oggettivamente il modello attuale è abbastanza rigido. Sicuramente l’aver chiuso i luoghi di aggregazione limita le possibilità dei tantissimi ragazzi scesi dal Nord di incontrare i loro coetanei. Ma questo previene una diffusione ancor più massiccia dell’epidemia. Certo, sussistono ancora alcune attività inspiegabilmente lasciate aperte, come negozi di telefonia, ferramenta e meccanici, che potrebbero essere chiuse per fini preventivi.

Se potesse rivolgere un appello al neo commissario Arcuri, cosa chiederebbe per la Calabria?

Dovrebbero essere potenziati, soprattutto, le nostre strutture sanitarie. Acquisire rapidamente nuove personale che possa lavorare in ospedale e nella prevenzione; nonché attrezzare altre strutture, come alberghi dismessi, per ulteriori ricoveri anche i malati che non sono in condizione di acuzie, ma devono essere tenuti sott’osservazione. Va evidenziato come il lavoro dei medici, in questo momento, è incessante con turni massacranti essendo davvero così poco numerosi. 

Quali sono i tempi realistici per uscire dall’emergenza?

Dall’epidemia ci vorranno diversi mesi; non abbiamo dati scientifici per stabilire che con l’aumento delle temperature, la diffusione del contagio possa interrompersi. Anche in questo caso rischiamo che vi sia una ripresa nella successiva stagione invernale. L’auspicio è che nel giro di 7/8 mesi da adesso si possa rendere disponibile un vaccino, allora potremmo dire di esserci messi alle spalle la pandemia attuale.

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