
Una firma che vale carità speranza e accoglienza
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Le impervie condizioni meteorologiche non hanno “frenato” i tantissimi reggini accorsi all'Aula Magna del Seminario Arcivescovile “Pio XI”. Ben presto le sedie sono state occupate e la calca è aumentata sino all'inizio dei lavori: il convegno sul Servo di Dio, monsignor Giovanni Ferro, arcivescovo di Reggio Calabria dal 1950 al 1977, era un'occasione troppo ghiotta per riassaporare quella figura rimasta scolpita nei cuori dei reggini. «Siamo nati per ricordare» ha detto monsignor Giovanni Latella che ha moderato l'incontro, presieduto dall'arcivescovo in carica, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini che ha parlato di monsignor Ferro come «la “quercia” della diocesi reggina che ha affondato le sue radici nella compassione delle disparità sociali della nostra terra». Tanti gli interventi: Paolo Villotta, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione, monsignor Filippo Curatola e monsignor Antonino Iachino. Le conclusioni sono state affidate a monsignor Salvatore Nunnari, vescovo emerito della diocesi di Cosenza – Bisignano.
Villotta: «Processo lungo, il territorio rimanga attento»
Paolo Villotta, è un giovane professionista calabrese, che, dal 2011, segue con scrupolosità, presso la Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano, proprio il “cammino” di monsignor Ferro. «Non vi nascondo – spiega Villotta ai presenti - che è stata un'impresa ardua condensare la pluralità delle testimonianze su una figura, quella del vescovo Giovanni, che restituisce, a chi la conosce, la grande dignità del popolo reggino». Tante, infatti, le notizie da “assemblare” nella positio, di cui la Curia Romana ha già riconosciuto la bontà del lavoro svolto in ambito diocesano. E proprio dal territorio deve continuare l'attenzione sul tema: «I tempi canonici per la venerabilità sono lunghi: parliamo di almeno dieci o quindi anni – dice Villotta – di approfondimenti teologici; ciò che conta è proseguire sulla strada della divulgazione rispetto a monsignor Ferro». Serve preghiera e impegno, quindi.
Curatola: «Diede Dio alla gente».
Un primo passo in questa direzione è stato proprio il convegno dello scorso martedì. Era lampante come i tanti fedeli reggini vivessero in prima persona questa “causa” per Giovanni Ferro. «Perché fu così amato? - si interroga don Pippo Curatola che visse gli ultimi dieci anni accanto al vescovo somasco fino alla sua morte – Il motivo è semplice: “diede” Dio alla gente». Questo il dono più grande di monsignor Ferro a Reggio Calabria: «Fu un pastore insonne, sempre sulla strada della carità concreta. E nonostante le difficoltà non perse mai il suo proverbiale sorriso». Monsignor Curatola nel relazionare su “Il vescovo che guardava 'dentro' l'altro” ha raccontato tanti episodi vissuti accanto a Ferro ripercorrendo anche i giorni della sua ordinazione sacerdotale. «Ricordo nitidamente – racconta l'ex direttore de L'Avvenire di Calabria – il suo invito: “Siamo chiamati a fasciare le ferite della gente”».
Iachino: «Difensore della "sua" Città».
E i suoi ventisette anni di impegno pastorale in riva allo Stretto furono «sorgente per tutti», come sottolinea don Iachino che rammenta ai presenti il suo dinamismo in occasione delle alluvioni dal 1951 e del 1954: aprì le Chiese, gli Istituti religiosi, il Seminario e la Curia Arcivescovile agli sfollati facendosi latore dei diritti negati all'indomani dei tragici eventi naturali. Come fu in occasione della festa dell'Immacolata del 1954: decise, infatti, di edificare otto case per gli sfollati del Valanidi a Ravagnese. Fu un segnale per tutti, anche per quelle Istituzioni sorde al grido di aiuto di un territorio abbandonato a sé stesso. «Padre e difensore della sua gente, della sua Città», dice don Iachino. Con un occhio privilegiato per i bambini: l'iniziativa con suor Maria Grazia Galligani fu una grande intuizione di carità al pari delle 120 scuole materne aperte in tutta la diocesi e affidate alla suore veroniche del Volto Santo fondate da «San Gaetano Catanoso, suo consigliere e confessore». Ed ancora la nascita del Soggiorno “San Paolo” di Cucullaro o il cortile “dei poveri” della Curia Arcivescovile affidato a don Italo Calabrò e ai suoi ragazzi. Monsignor Ferro, spiega monsignor Iachino, nella sua relazione su “Il vescovo che si donava 'all'altro'” fu un antesignano: nel 1967, quattro anni prima della nascita della Caritas Italiana, aveva già sottoscritto un atto che impegnava la Diocesi al servizio degli ultimi.
Nunnari: «Fu un vero povero, vinse la 'guerra' dell'Amore»
Un uomo di Dio, un pastore della Comunità, un «padre affettuoso» suggerisce monsignor Salvatore Nunnari, vescovo emerito di Cosenza, che ha concluso i lavori del convegno. «Per conoscere monsignor Ferro basta guardare il suo portafoglio: non aveva nulla». La povertà, per lui, fu una condizione essenziale per stare accanto ai reggini in difficoltà. «Quando l'abitato di Trunca rimase isolato andò ad abitare nella baracca adibita a canonica per cinque giorni», racconta Nunnari, «Ferro era così: lo trovavi il giorno di ferragosto nelle stalle dei pastori a fare il catechismo ai bambini». Prima di congedarsi dai presenti, monsignor Nunnari ha ricordato il tempo dei moti di Reggio: «Quando fui accusato ingiustamente, mi disse: “Si può perdere una battaglia, ma vai avanti: vinci la guerra dell'Amore”».
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