
Anni fa, fu un’impresa riuscire a coinvolgere i nomadi nella costituzione di una Cooperativa che si occupasse del recupero dei rifiuti ingombranti. Un’impresa evocativa almeno su due piani. Quello della legalità, perché consentì ai Rom di regolarizzare il loro lavoro di “raccoglitori” di merce ingombrante; e quello dell’inclusione sociale. Come non ricordare, infatti, le condizioni in cui tantissimi Rom hanno vissuto per decenni nei ruderi della Caserma Cantaffio, conosciuta come «208»? La costituzione della Cooperativa Rom95 segnò una svolta, prima di tutto interiore. Da quella «discarica» in cui vivevano i Rom, partì un lavoro di ecologia umana e poi ambientale, che permise ad alcuni di loro di inserirsi appieno nella società, attraverso un impiego stabile.
La notizia della revoca della convenzione con l’Avr, diffusa nei giorni scorsi, poi subito risolta in modo provvisorio, ha riacceso i riflettori sulla cooperativa che durante gli ultimi decenni, nella frenetica quotidianità della Reggio metropolitana, ha continuato a svolgere il ruolo della formica silenziosa, garantendo un servizio civico e civile.
L’impasse in cui si trova oggi la Cooperativa dei nomadi, presenta diversi paradossi. Il primo riguarda un aspetto normativo. Il Comune di Reggio Calabria nel pubblicare nuovamente il bando per la gestione del ciclo rifiuti, poi aggiudicato dall’Avr, ha “omesso” di tutelare l’attività portata avanti per ventidue anni dalla Rom95, innescando così un cortocircuito amministrativo. Da un lato la politica non ha potere decisionale avendo demandato la gestione – e non solo l’operatività come accadeva per le società miste – ad Avr, mentre l’azienda romana, per via della legge antiriclaggio, non può procedere, in forma e sostanza, a un subappalto.
A questo va aggiunta la ventilata reticenza di Avr a voler dialogare con la Rom95 perché consapevole che il “business” dell’isola ecologica è destinatario di diverse linee di finanziamento, anche comunitarie, nonché molto remunerativa nei rapporti col Comune. Di contro la cooperativa sinora lavorava in condizioni difficili, soprattutto nei rapporti col gestore unico del ciclo dei rifiuti, il quale riconosce provvigioni irrisorie alla Coop per il servizio portato avanti.
L’estensione di 60 giorni della convenzione, annunciata nei giorni scorsi, non può far dormire sonni tranquilli.
Una cooperativa sociale che ha garantito e continua a garantire il re-inserimento lavorativo di persone svantaggiate rischia di chiudere battenti, mentre Avr – il cui impegno in Calabria è dovuto alla logica del profitto – continua ad accumulare utili. È legittimo, a patto che non venga generato disagio sociale nei confronti di una minoranza etnica già storicamente discriminata. C’è il rischio, serio e plausibile, che la politica sia complice di questo atto anti-inclusivo che, se compiuto, contribuirà a ridurre il livello di civiltà della nostra regione.