Avvenire di Calabria

In questo giorno la Chiesa attende la luce della Risurrezione

Sabato santo, tra la Croce e la gloria: il giorno in cui il silenzio si fa speranza

Oggi la Veglia pasquale presieduta dall’arcivescovo Fortunato Morrone

di Redazione Web

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Oggi, sabato 30 marzo, l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone, presiederà la Veglia pasquale alle 22.30, mentre il giorno di Pasqua celebrerà la liturgia pontificale alle 11. Il Sabato santo è il giorno dell’attesa, del silenzio e della discesa di Cristo agli inferi. In questo tempo di sospensione tra la Croce e la Risurrezione, la Chiesa tace, medita e prega.

Il giorno più lungo del Triduo: attesa, silenzio e fede

Il Sabato santo, giorno che precede la Pasqua, è un giorno aliturgico, detto anche «giorno del silenzio». In tutte le chiese non si celebra la Messa e non si proclama il Vangelo, in attesa della Veglia pasquale che si celebra a tarda sera, a ridosso della mezzanotte, aprendo la liturgia della Pasqua di Risurrezione.



Il Sabato santo è il giorno di “frammento” tra il dolore per la morte di Gesù e la gioia della sua risurrezione. Non a caso è definito «il giorno più lungo», tempo di riflessione e meditazione, in cui la comunità non si accosta all’Eucaristia. È il giorno in cui la Chiesa attende in silenzio, come smarriti restarono gli apostoli dopo la crocifissione del Maestro.

Il silenzio di Dio: le parole di papa Francesco

Ma perché il Sabato santo deve essere il giorno del silenzio? Lo spiega papa Francesco: «Il Sabato santo deve essere un giorno di silenzio, e noi dobbiamo fare di tutto perché per noi sia proprio una giornata di silenzio, come è stato in quel tempo: il giorno del silenzio di Dio. Gesù deposto nel sepolcro condivide con tutta l’umanità il dramma della morte».


PER APPROFONDIRE: Reggio Calabria – Bova, Messa in Coena Domini. «L’Eucaristia come scuola dell’Amore»


«È un silenzio – aggiunge il Papa – che parla ed esprime l’amore come solidarietà con gli abbandonati da sempre, che il Figlio di Dio raggiunge colmando il vuoto che solo la misericordia infinita del Padre può riempire. Dio tace, ma per amore».

«In questo giorno l’amore – quell’amore silenzioso – diventa attesa della vita nella risurrezione. Pensiamo – dice ancora Francesco – al silenzio della Madonna, “la Credente”, che in silenzio attendeva la risurrezione. La Madonna deve essere per noi l’icona del Sabato santo. È l’amore che non dubita, ma spera nella parola del Signore, perché diventi manifesta e splendente il giorno di Pasqua».

La discesa agli inferi: la vittoria nel cuore della morte

Il terzo giorno del Triduo pasquale è il Sabato santo, che commemora la discesa agli inferi di Gesù. Il Signore vi resta per breve tempo, compiendo la sua vittoria sulla morte e sul diavolo, liberando le anime dei giusti morti prima di Lui, e aprendo loro le porte del Paradiso.

Questo giorno è incentrato sull’attesa dell’annuncio della risurrezione, che avverrà nella solenne Veglia pasquale. Come professano gli antichi Simboli e la preghiera eucaristica, è un annuncio di salvezza per ogni uomo: nessuno è escluso, nessuno è smarrito, Dio si fa solidale anche nella morte.

La kenosis di Cristo: il potere nella debolezza

Egli, il Figlio, il Messia d’Israele, è morto crocifisso, ha compiuto la kenosis, diventando impotente, fino al vertice dell’umiliazione. È la garanzia della salvezza per tutti.

Gesù ha già vissuto l’abbandono del Padre, ora compie un gesto radicale: discende negli inferi, nello Sheol. In questo spogliamento totale, l’impotenza si trasforma nel massimo potere liberante, non per alcuni ma per tutti.

I Padri della Chiesa e la vittoria sullo Sheol

I Padri della Chiesa orientale ci mostrano Gesù come vincitore, che da cadavere insanguinato frantuma le porte degli inferi, libera i prigionieri e apre la via della vita eterna. La Chiesa latina invece contempla il mistero del silenzio: Cristo è morto fra i morti, in un silenzio drammatico che riflette lo sconforto dei discepoli e delle donne al sepolcro, ma anche la fede silenziosa di Maria. Tutto sarà compiuto quando il sepolcro diventerà l’Anastasis, la risurrezione.

La speranza nasce nel cuore del buio

Nella discesa nello Sheol, dove vita non esiste, Cristo paradossalmente dona la vita. In un luogo di assenza, porta speranza. Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr, con linguaggi diversi, hanno illuminato questo mistero del Sabato santo. Cristo, il morto crocifisso, dilata la speranza assumendo il passato in un subabbraccio, abbracciando tutti i secoli, tutti gli uomini.

La speranza, solo smarrita ma non perduta, ora è donata per sempre. Dalla derelizione della Croce scaturisce una sorgente zampillante che irrora il passato, il presente e il futuro.

Una salvezza per tutti e per sempre

Tutti siamo toccati da questa grazia, se lo vogliamo. Se accettiamo di vivere la nostra kenosis, non per salvarci da soli, ma per aprire il cuore a tutti, in un movimento universale di grazia e redenzione. Si passa dalla nostra storia personale alla vita eterna, al banchetto della vita immortale. Cristo è stato solidale in un modo impensabile: dare la vita che non avrà fine, raccogliendo in sé la morte di tutti.



Non un computo, ma un flusso di grazia, un dono che trasfigura: «Io ero morto (nekrós), ma ecco ora vivo per i secoli dei secoli ed ho le chiavi della morte e del mondo sotterraneo» (Apocalisse 1,18).

La discesa come via: Gregorio Magno e la profondità del Sabato santo

Gregorio Magno intuì questo mistero: Cristo scende nell’inferno più profondo per liberare le anime dei suoi eletti. Prima della redenzione, l’abisso era un carcere, ora è una via. Solo avendo vissuto fino in fondo la kenosis, creando comunione solidale con tutti, solo allora, portando tutti con sé, Cristo lascia vuoto lo Sheol e sale vittorioso al Padre.

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