Calabria, è suonata la prima campanella… ma non per tutti
Sono finite oggi le vacanze estive per 250 mila studenti di tutte le province della regione che hanno fatto ritorno oggi tra i banchi di scuola. C’è un’eccezione.
L'inclusione, specialmente a scuola, non è un concetto astratto: vi raccontiamo due belle testimonianze da Reggio Calabria. La storia di Sara racconta di un percorso alimentato dalla sua forza di volontà e dalla grande accoglienza della comunità scolastica. L'impegno di Maria Teresa, invece, spiega cosa si cela dietro un lavoro che non può essere solo quello: l'insegnante di sostegno.
Una scuola che si fa famiglia. Ridurre tredici anni di percorso in uno slogan non è semplice, ma ascoltando le parole di Tiziana Amodeo e Basilio Romeo, la sensazione è proprio questa. Tiziana e Basilio sono i genitori di Sara, studentessa reggina che ha concluso quest’estate il proprio cammino scolastico presso il Liceo delle Scienze Umane “Tommaso Gulli” di Reggio Calabria.
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Un cammino all’insegna di due parole-chiave: inclusione e autonomia. Termini spesso abusati che, stando al racconto dei due genitori reggini, hanno trovato braccia e gambe in quanto hanno deciso di mettersi accanto a Sara sin dalle scuola primaria. «Possiamo dire - spiega Tiziana - di essere stati fortunati: tutti gli insegnanti di sostegno che si sono alternati negli anni sono stati attenti e competenti».
Un aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che da dare per scontato: «Essere insegnanti di sostegno non è per tutti: accanto alla sensibilità occorre una preparazione specifica». Il cammino di Sara è stato rafforzato da tutti i docenti incontrati tra cui anche don Paolo Ielo, suo insegnante di religione che per primo ha raccontato la sua storia sul nostro sito (qui trovi l’articolo completo: https://shorturl.at/fizBL).
Certo, nella scuola che si fa famiglia, contano - non poco! - le relazioni: «Al diciottesimo compleanno di Sara tutte le sue insegnanti di sostegno erano con noi a festeggiarla». Ma la “presa in carico” è un fatto comunitario che riguarda tutte le componenti della scuola: «Dai compagni di classe ai loro genitori fino ai docenti curriculari e ai collaboratori scolastici, Sara è stata voluta bene da tutti».
Le parole di mamma Tiziana sono talvolta interrotta dalla commozione: vedere i tanti passi in avanti fatti dalla figlia non possono che emozionare. «I tanti gesti fatti nei confronti di Sara non sono stati dati mai per scontato» sottolinea papà Basilio.
Insomma un’alleanza, quello tra scuola e famiglia, che ha consentito che i processi attivati si siano portati avanti con costanza. Nel complesso, però, l’esperienza è stata arricchente anche per quanti hanno condiviso un pezzetto di cammino con Sara.
Fondamentale, in tal senso, è stata l’avventura dell’alternanza scuola-lavoro che ha “invertito” i ruoli: ad ospitarla è stata l’Aipd, l’Associazione italiana Persone con sindrome di Down, che settimanalmente apriva le sue porte agli studenti in alternanza: «Hanno davvero scoperto un mondo: aprirsi alle diverse abilità delle persone Down ha consentito a studenti e insegnanti di approfondire il proprio bagaglio umano», sottolinea Tiziana Amodeo.
Logico parlare di futuro. Qui iniziano le note dolenti: Sara ha seguito un programma personalizzato così la sua maturità - per legge - non è un diploma, ma un attestato di frequenza. Tutto calibrato di concerto da insegnanti e famiglia per il benessere della figlia.
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Mancano, però, certezze “normative” rispetto al percorso universitario: «Nostra figlia - spiegano i genitori - ha espresso la volontà di proseguire negli studi. Al momento lo potrà fare da “uditrice”, ma non sappiamo se e come verrà supportata».
A dare manforte alla speranza, torna, però, la dimensione relazionale vissuta tra i banchi di scuola: «Pochi giorni fa una sua compagna mi ha chiamato per chiedermi cosa facesse Sara quest’anno. Di fronte ai miei dubbi - conclude mamma Tiziana - si è premurata a tranquillizzarmi: “A me e ad altre compagne farebbe molto piacere continuare a studiare con lei”».
Questo non è uno slogan, ma una bellissima istantanea di cosa possano generare i percorsi inclusivi a scuola.
Maria Teresa Latella è un’insegnante di sostegno della Scuola dell’Infanzia dell’Istituto comprensivo “Cassiodoro - Don Bosco” di Pellaro, periferia sud di Reggio Calabria. Abbiamo voluto conoscere il suo punto di vista.
Perché si scegliere di essere insegnante di sostegno?
L’insegnante di sostegno non cura solo prettamente l’aspetto didattico, ma anche le relazioni sia tra gli adulti di riferimento e gli alunni sia all’interno dello stesso gruppo classe. Si sceglie, quindi, di essere insegnante di sostegno per avere una cura maggiore verso ogni singolo studente, ma al contempo per essere di supporto alla classe nella sua interezza.
PER APPROFONDIRE: Davvero la scuola deve “servire” al mondo del lavoro?
Come si concretizza tutto questo?
La mia esperienza personale è un treno in continuo viaggio. Non c’è mai, personalmente, una fermata: non seguo soltanto l’orario scolastico, ma il mio ruolo di insegnante specializzata sul sostegno inizia al mattino parlando coi genitori prosegue nell’attività diretta con gli alunni e si conclude al pomeriggio con l’attività collaterale. C’è, davvero, un contatto costante con le famiglie e questo aspetto è tra i più importanti tra quelli svolti dall’insegnante di sostegno dando forza al lavoro specifico portato avanti in classe.
Anche la normativa individua nell’insegnante di sostegno quella figura baricentrica della famigerata “alleanza educativa” tra scuola, famiglia e specialisti. Un lavoro tutt’altro che semplice...
Non è sempre facile, questo è vero. Per affrontare le fragilità delle famiglie bisogna sempre entrare in punta di piedi. Rispetto al rapporto con gli specialisti esterni qualche volta si fatica: seppure c'è il tentativo di creare un legame con gli specialisti va sempre tenuto presente che gli insegnanti di sostegno operano dentro l’istituzione scuola che ha delle regole d’intervento ben diverso dai centri specializzati o dalle terapie domiciliari.
C’è, infine, un’altra peculiarità del vostro lavoro, cioè la restituzione emotiva. Che effetto fa?
È l’aspetto principale. Questo scambio di emozioni è veramente fondamentale per continuare con passione il nostro che non è solo un lavoro, ma una chiamata a cui dedicarsi totalmente.
Sono finite oggi le vacanze estive per 250 mila studenti di tutte le province della regione che hanno fatto ritorno oggi tra i banchi di scuola. C’è un’eccezione.
Ecco la puntata di oggi del percorso Podcast intrapreso dall’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone.
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