Avvenire di Calabria

Il rischio è dietro l’angolo e prevede la classica contrapposizione tra guelfi e ghibellini, manettari e garantisti

Sentenze ribaltate, serve una revisione dell’antimafia

Negli ultimi mesi, però, cresce il clima di rassegnazione: la vera lotta alle cosche si fa costruendo fiducia

di Federico Minniti

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Sentenze ribaltate, serve una revisione antimafia. Stima immutata nei confronti dei pm. Ciò che deve migliorare è la capacità di chi “forma” l’opinione pubblica nell’evitare facili strumentalizzazioni. Parlare, però, di riforma della giustizia non è facile. Il rischio è dietro l’angolo e prevede la classica contrapposizione tra guelfi e ghibellini, manettari e garantisti. Negli ultimi mesi, però, cresce il clima di rassegnazione: la vera lotta alle cosche si fa costruendo fiducia.

Serve una revisione dell'antimafia

Dubbio, sospetto, complotto. Tre elementi che compongono un virus chiamato rassegnazione. L’aria che si respira a Reggio Calabria non è delle più salutari. Le ultime sentenze - seppur di grado diverse - aprono spiragli di riflessione (necessari) sul complesso rapporto tra giustizia ed opinione pubblica.

Indagini e opinione pubblica

C’è sempre molta reticenza nel commentare le sentenze, forse troppo poca nel farlo con le indagini. La giustizia non è infallibile e, ormai, abbiamo abbastanza esperienza per distinguere la verità fattuale da quella processuale. Ciò che disorienta è come vengono proposte agli occhi dei cittadini, tutte le notizie che orbitano attorno alla sfera giuridico-penale di un individuo.

Temi come il “concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso” e “abuso d’ufficio” meriterebbero trattazioni più serie, specie dai divulgatori del Diritto troppo spesso isolati quando nel tempo hanno avanzato delle tesi scientifiche sulla “fragilità” di queste due ipotesi di reato. Purtroppo quando si parla di riforma della giustizia si corre l’eterno rischio di dividersi in guelfi o ghibellini, manettari o garantisti.


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Purtroppo non si comprende quanto e come sia urgente una revisione di alcune norme antimafia, quali le interdittive il cui sistema è palesemente anacronistico come dimostrato da un’ampia letteratura giuridica. Nel corso degli ultimi anni abbiamo intervistato più e più volte la magistratura inquirente in servizio presso le diverse procure reggine e calabresi.

I reati fragili

Dal loro osservatorio emerge un quadro clinico (ci passerete la metafora medica) con diverse criticità. Pur conservando - in modo immutato - stima e fiducia nei pm, è palese un principio secondo il quale se «tutto è ‘ndrangheta, niente è ‘ndrangheta». Occorre, probabilmente, un gioco di squadra dove l’informazione giocherebbe un ruolo determinante - per chiarire agli occhi dei cittadini le diverse fasi (necessarie) di verifica della prova alla base dei reati contestati ai singoli interessati.

I processi non si fanno sui giornali, ma nelle aule dei tribunali. Aule che spesso, però, rimangono mute rispetto all’amplificazione esasperata delle ordinanze restrittive.


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In questo marasma sguazzano gli avvelenatori seriali di pozzi. Soggetti che, senza neanche uno straccio di atto giudiziario, mettono alla gogna un’intera città. Non è la difesa d’ufficio della Calabria, né la negazione della criminalità organizzata. Ma un invito a guardare con occhi nuovi. A trarre il meglio da noi stessi. Certi che, in questo duc in altum, la magistratura continuerà a fare liberamente il proprio dovere.

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