
Lutto nell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova: è tornato alla Casa del Padre Rosario Morrone, papà dell’arcivescovo Fortunato
Alle prime luci del Giovedì Santo, il Signore ha chiamato a sé Rosario Morrone, padre
Venuto a conoscenza delle condizioni di particolare disagio in cui versano le persone bisognose di cure psichiatriche, l’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, monsignor Fortunato Morrone, volendo sostenere le numerose famiglie che quotidianamente si prendono cura di minori e adulti con disagio psichico, chiede alle istituzioni e agli enti preposti di garantire a queste persone le dovute cure nella loro terra di Calabria.
I familiari dei pazienti psichiatrici reggini e calabresi, infatti, sono ormai stremati a causa delle difficoltà che stanno incontrando le strutture psichiatriche reggine e calabresi e sono costretti – per chi se lo può permettere – ad emigrare al nord per garantire i livelli di cura essenziale per i loro cari.
«Credo che gli uomini e le donne di buona volontà delle nostre Istituzioni – ha dichiarato l’arcivescovo – possano trovare la giusta soluzione affinché questi nostri fratelli bisognosi possano essere curati qui in Calabria. Davanti a questo grido di sofferenza che ci viene consegnato dalle famiglie dei malati psichiatrici, non possiamo voltarci dall’altra parte. Siamo chiamati a dare una risposta di civiltà e di buon senso» ancora le parole del vescovo.
Solo pochi giorni fa, domenica scorsa, attraverso le pagine dell’edizione cartacea del nostro giornale, “Avvenire di Calabria”, i parenti degli utenti di enti e cooperative della rete della salute mentale a gestione mista pubblico-privata, avevano lanciato un ultimo disperato appello a chi ha in mano non solo le sorti della sanità calabrese, ma il destino dei loro cari. Preoccupati del perdurare di un «immobilismo delle istituzioni sanitarie locali e regionali che, da anni – a loro dire – non riescono a risolvere il problema».
Il paradosso, per i familiari dei 150 pazienti assistiti delle strutture, sta nel fatto che i loro cari sembra siano abbandonati al proprio destino, nonostante ciascuna famiglia paghi rette di compartecipazione che, in alcuni casi, sfiorano i mille euro. E ad essere chiamato in causa è ancora il Dipartimento tutela della Salute. Ulteriore motivo di preoccupazione è che il «il perdurare di questa incredibile vicenda possa ricadere sulla stessa qualità della vita dei ricoverati». Le famiglie si chiedono e chiedono a chi di dovere, «dove vanno a finire gli incassi dei ticket salati» che esse pagano perché venga garantita assistenza ai propri congiunti e, soprattutto, «che uso ne viene fatto?».
Nel lanciare l’ultimo appello alle istituzioni, «finora – giudicate – assenti», il comitato delle famiglie spera che la questione che ormai si trascina da anni, non senza difficoltà per familiari e congiunti, si possa risolvere al più presto, applicando quanto la legge prevede e soprattutto garantendo quei diritti essenziali, come la cura alla persona che in molti, spesso, per lo stallo creatosi a queste latitudini, sono costretti a ricercare altrove, in altre provincie calabresi quando va bene e spesso anche fuori regione, dopo aver percorso centinaia di chilometri, per quelli che appaiono veri e propri «assurdi viaggi della speranza».
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