Avvenire di Calabria

Si è concluso il ciclo di meditazioni di padre Sergio Sala previsto dal percorso sinodale diocesano promosso dalla Chiesa reggina

Sinodo a Reggio Calabria, padre Sala: «Gesù non è simbolo di potere»

Il gesuita, nel corso della prima tappa sinodale, ha proposto alcune lectio sugli Atti degli Apostoli. Presenti all'incontro di ieri il vescovo Morrone e il vicario della Cultura, don Sergi

di Redazione Web

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Si è concluso il ciclo di lectio di padre Sala previsto dal percorso diocesano del Sinodo promosso nella diocesi di Reggio Calabria - Bova: ieri, il gesuita si è soffermato sulla strumentalizzazione del Vangelo da parte dei potenti. Il brano di riferimento era la predicazione di Paolo all'areopago di Atene.

Sinodo a Reggio Calabria, la meditazione di padre Sala

«Chi usa Gesù per consolidare il proprio potere, dimentica che Gesù fu ucciso come sovversivo proprio dal potere religioso-politico». Lo ha detto padre Sergio Sala, mercoledì scorso in Cattedrale, in occasione della sesta lectio proposta nell'ambito del cammino sinodale avviato dall'arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova.

La riflessione che il sacerdote della Compagnia di Gesù ha condiviso con i presenti e con tutti coloro collegati in diretta streaming sulla pagina Facebook di Avvenire di Calabria, ha preso spunto dalla visita ad Atene dell'apostolo Paolo e dal suo discorso all'Areopago. Vicenda raccontata dal libro degli Atti degli Apostoli al capitolo 17, versetti 16-34. È un passaggio chiave nella storia della Chiesa delle origini, ma che si lega inevitabilmente all'attualità, come lo stesso Sala ha avuto modo di sottolineare: «Può aiutare anche noi a percorrere il cammino sinodale e a considerare il periodo turbolento che stiamo vivendo a causa della guerra».


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Ad affiancare il gesuita durante la riflessione, l'arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone e il vicario per la Cultura e coordinatore dell'equipe sinodale diocesana, don Pietro Sergi.

Prima del momento di preghiera presieduto da monsignor Morrone e della riflessione di padre Sala, è stato proprio don Sergi a introdurre l'incontro. Non l'atto conclusivo del cammino iniziato lo scorso novembre, ma «un momento collante che ci traghetta verso un lavoro permanente. Tante volte - ha spiegato il vicario episcopale per la Cultura - abbiamo detto che il cammino sinodale non è qualcosa da fare, ma un modo di essere, allo stesso tempo difficile da imparare. Per questo ascoltiamo e interiorizziamo, ma proiettati a quanto ci aspetta ancora: al cammino estivo e al prossimo anno».

È toccato, dunque, a padre Sergio Sala prendere la parola e proporre la riflessione del giorno su una vicenda definita «il più avanguardista tentativo di dialogo con la cultura ellenistica contenuto in tutto il Nuovo Testamento, modello di inculturazione e adattamento». Con il discorso dell'apostolo convertitosi sulla via per Damasco, «il messaggio evangelico - ha spiegato Sala - entra in dialogo con la filosofia greca, simbolo di apertura ad ogni uomo e nazione». Il testo degli Atti degli Apostoli in cui si racconta questo episodio, ha aggiunto il gesuita, «è una vera miniera da scavare scoprire», nonostante, continua, guardando alla conclusione del racconto («poche persone ad aver aderito al Cristianesimo»), il discorso di Paolo all’Areopago potrebbe risultare «deludente». Ma è stato realmente un insuccesso? In realtà, risponde Sala, «diventa uno straordinario successo, se si pensa alla portata che questo discorso ha avuto sul pensiero cristiano e non solo cristiano. Sia per i pagani, sia per i primi cristiani, il dialogo con il mondo culturale del tempo costituiva una grossa novità, un aggiornamento che aveva degli aspetti positivi, ma comportava anche dei pericoli».

«Promuovendo un certo senso critico nella popolazione, abituandola a demitizzare e desacralizzare il mondo liberandolo da tante divinità e superstizioni, si rischiava forse di liberarla troppo?». Timori, «ancora attuali» a giudizio di padre Sala, nello spiegare come «il confine tra il rispetto della devozione popolare e la preferenza per una religiosità di superficie è labile. Stesso dubbio - aggiunge guardando ai tempi presenti - affiora nel Sinodo sulla sinodalità: alcuni temono che il Sinodo porti sconquassi come sarebbe avvenuto per il Concilio Vaticano II, con ulteriore perdita di fedeli. Qualcuno non vuole andare avanti, anzi pensa che sarebbe meglio tornare indietro a quando eravamo in tanti, e visto che tornare indietro non si può, meglio non toccare nulla».


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La riflessione di Sala si è poi spostata sul rapporto tra religione e guerra, legato anche all’attuale «periodo che stiamo vivendo». «Una religiosità priva di senso critico, che nulla ha più a che fare con la rivelazione storica e l'intervento escatologico di Dio alla fine dei tempi, trasforma l'annuncio pasquale in ideologia, e la religione diventa pericolosamente strumentalizzabile ad uso dei potenti. È quello che succede in Russia, dove il patriarca ortodosso si schiera dalla parte dell'oppressore, mentre il suo ruolo – ancora Sala – dovrebbe essere quello di annunciare Cristo risorto con il suo triplice "Pace a voi”».

Il gesuita ha poi concluso: «Dobbiamo crescere nel nostro senso critico, con i rischi che questo comporta, per sapere distinguere tra l'annuncio di un Dio che vuole cambiare il mondo e la propaganda, politica o religiosa che sia».

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