Avvenire di Calabria

Gap in riva allo Stretto: nel 2016 oltre tre milioni spesi dalle famiglia arrivate al Cereso

Squillaci (Fict): «A Reggio censite oltre quattromila sale slot»

Luciano Squillaci

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Lo scenario culturale negli ultimi anni ha relegato il problema delle dipendenze in un ambito residuale, oramai le persone con dipendenza “non danno” più fastidio, in qualche modo sono assorbite e accettate dalla società.
Una sorta di resa incondizionata di fronte alla ineluttabilità delle dipendenze. Nella società del consumo e dello scarto, vivere gli eccessi, siano essi l’alcol, le droghe o il gioco d’azzardo, è considerato un fatto normale, e come tale comunemente accettato.
Le scelte politiche degli ultimi anni, legate al contrasto ed alla cura delle dipendenze patologiche, ne sono la più evidente ed immediata dimostrazione.
Il comparto delle dipendenze è quello meno rilevante fra tutti i comparti sociali e sanitari sotto il profilo del budget ad esso destinato, mentre i bisogni che emergono dal territorio sono in continuo aumento. Lo stesso sistema dei servizi pubblici e del privato sociale accreditato, è lasciato “languire” ormai da decenni, costretto ad una lotta per la sopravvivenza di fronte a tagli continui e scriteriati.
Ed è all’interno di questo mondo, già in enorme difficoltà, che è emersa negli ultimi decenni, con forza prorompente, la dipendenza da gioco d’azzardo, forse una delle più subdole e pericolose, perché non colpisce solo la persona interessata, ma distrugge anche il tessuto familiare e sociale che gli sta intorno, producendo danni enormi e molto spesso irreparabili.
Una dipendenza che sta assumendo, sempre di più, le sembianze di una vera e propria epidemia. Gli ultimi dati forniti alla Camera dei Deputati parlano di oltre 88 miliardi bruciati dagli italiani nel gioco d’azzardo “legale”, circa il 4,4% del PIL, con una crescita nel 2016 di oltre il 7% del fatturato.
Solo in Calabria parliamo di quasi 1,2 mil. di euro in un anno, quasi 700 euro pro capite compresi bambini ed anziani over 65 anni. E pensare che la spesa regionale per le politiche sociali non supera i 27 euro a cittadino. Del resto solo a Cosenza nel 2015 sono state censite più di 5.000 slot, mentre a Reggio siamo ben al di sopra le 4.000 ed a Catanzaro quasi 3.000. Numeri impressionanti che purtroppo sono destinati a salire.
Eppure, nonostante il chiaro allarme sociale, e le conseguenze nefaste che la dipendenza da gioca porta con sé, ancora non sono attive in Italia strategie di contrasto adeguate.
Nonostante il GAP sia stato inserito ormai dal 2012, decreto “Balduzzi”, tra i livelli essenziali di assistenza, a tutt’oggi il disturbo da Gioco d’Azzardo non è ancora stato compiutamente declinato né in termini di cura, né tantomeno in termini di adeguata prevenzione.
La Legge di stabilità n.190 del dicembre 2014 ha previsto quote di stanziamento di 50 mil. di euro (davvero poco se si considera il giro di affari annuo di quasi 90 miliardi!) per gli anni 2015, 2016 e 2017. Eppure solo dal prossimo anno avremo davvero contezza di come saranno spese queste poche risorse.
Il fondo del 2015 infatti, ripartito per le regioni, è andato perduto, per la gran parte all’interno del fondo indistinto sanitario, senza che siano stati messi pianificati e realizzati interventi specifici.
Da quest’anno, proprio per evitare il ripetersi di tale vergogna, il Ministero della Salute ha preteso, prima del trasferimento delle somme, che le regioni elaborassero un piano da sottoporre al vaglio ministeriale.
La Calabria ha inviato il proprio lo scorso febbraio, ed ora è in attesa della risposta da parte del Ministero. Al contempo ha chiesto alla Aziende sanitarie territoriali di predisporre il proprio piano operativo entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto. Sembra davvero essere solo una piccola stampella, rispetto ad una patologia che dovrebbe invece essere regolamentata e finanziata adeguatamente.
Certamente non è molto, ma qualcosa almeno si muove. L’auspicio è che i fondi siano investiti in modo prioritario nei servizi di cura alla persona, attraverso la valorizzazione dei servizi pubblici e delle comunità terapeutiche che sino ad oggi hanno tentato di dare risposte seppure nella indifferenza generale, ed in un piano di prevenzione e sensibilizzazione indirizzata ai giovani sempre più attratti e legati ai social network e internet, ed agli anziani, over 65, particolarmente vulnerabili ed a rischio.

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