Avvenire di Calabria

Il presidente nazionale della Federazione italiana delle Comunità terapeutiche lancia l'appello ai genitori

Squillaci (Fict): «La nuova “trasgressione” dei Millennials? L’abuso di psicofarmaci»

Dipendenze e pandemia, crescono le forme di disagio: i ragazzi abilissimi a muoversi nel Dark Web

di Federico Minniti

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Luciano Squillaci è il presidente nazionale della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict). Abbiamo voluto conoscere il suo punto di vista rispetto all’uso delle droghe in età adolescenziale e preadolescenziale: «I ragazzi stanno gridando aiuto in tutti i modi: gli adulti o lo capiamo o stiamo decretando la fine della nostra società, almeno per come la conosciamo».

Cosa sta succedendo?

Credo si tratti di un problema di messaggio educativo: parliamo di un trend decennale, acuito negli ultimi cinque, in cui la fascia d’età tra i 12 e i 19 anni è sempre più soggetta a messaggi contraddittori che li porta a muoversi all’interno delle trasgressioni più gravi con una naturalezza che prima non c’era. È ormai evidente un processo di normalizzazione delle dipendenze che, poi, sono un profondo segnale di disagio: un «male di vivere» mai visto prima.

Dalla ribellione tipica dell’adolescenza si sta passando all’autodistruzione?

Purtroppo nella sofferenza “fisiologica” dell’età adolescenziale si innesta un mondo adulto incapace di garantire dei messaggi valoriali che siano punto di riferimento. C’è un’immaturità negli adulti sbalorditiva: capita, infatti, che tanti genitori arrivano in Comunità per accompagnare i loro figli che fanno uso di psicofarmaci, ma loro non capiscono dove possono averli trovati. Salvo, poi, scoprire che i primi ad assumerli sono loro.

Sembra che la droga sia stata “normalizzata”.

A livello generale, drogarsi è naturale ed è giusto che sia così. Il contesto familiare è completamente cambiato: prima, avevamo genitori che costringevano i propri figli al percorso terapeutico; oggi la sensazione è tante volte gli interventi educativi in Comunità, i famosi “no”, vengono mitigati dalle famiglie che non riescono ad accompagnare i loro figli in quei percorsi riabilitativi.

Secondo lei, perché?

Si tratta di un “senso di colpa generazionale”: l’incapacità di comprendere l’importanza delle privazioni o la volontà di tutelare a ogni costo anche i disagi dei propri figli. Bisogna tornare a “insegnare” ai genitori - specialmente le giovani coppie - cosa significa educare i figli. Essere “certezze” non significa essere i loro amici; tutt’altro! Significa essere riferimenti precisi, a volte duri, capaci di dire i “no” e i “ sì” giusti. Altrimenti non possiamo stupirci che l’età di ingresso all’uso di sostanze stupefacenti sono i 12 anni.

Eppure la droga sembra essere “un non-problema”. Che idea si è fatto a tal proposito?

Siamo in una dimensione di silenzio strutturale. Di droga si parla spesso a sproposito, ma di interventi per migliorare i percorsi riabilitativi neanche l’ombra. Ancora sentiamo parlare di legalizzazione, come se il problema delle dipendenze in Italia sia legato al tipo di sostanza. Stiamo parlando del nulla: è fallimentare continuare a “inseguire” le droghe. C’è da chiedersi: è possibile essere così fuori dal contesto in cui viviamo?

Le sostanze sono davvero così “a porta di clic”?

Non tutti sanno che esiste un dark web che rappresenta il 90% dei contenuti presenti sulla rete. In quello spazio c’è di tutto: e chi lo visita? I nostri giovani hanno accesso a tutti i mercati delle dipendenze. Un tempo se tu volevi “farti” di qualunque sostanza dovevi andare nelle piazze di spaccio con tutto quello che ne conseguiva; oggi anche questo “ostacolo” è stato superato da internet. Ognuno da casa propria può ordinare “a domicilio” la droga. Aggiungo: ogni anno vengono censite 100 nuove sostanze psicotrope. E ancora c’è gente che parla di liberalizzare la cannabis? È una battaglia persa in partenza.

Ad aggravare tutto, poi, ci ha pensato il coronavirus.

La pandemia porterà una “frattura relazionale” in dote nelle giovani generazione che sarà difficilissimo sanare. Questa carenza, se non siamo pronti sotto il profilo educativo di dare delle risposte valoriali, andrà ad acuire un contesto già malato. Se non si torna seriamente a investire sull’educazione, ci troveremo - da qui a poco - a non avere più futuro.

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