Avvenire di Calabria

Sulle colline di Reggio Calabria sorge una parrocchia dell'omonimo quartiere: San Cristoforo. Ripercorri le tappe storiche della comunità

La storia della parrocchia di San Cristoforo, rione di Reggio Calabria

Una chiesetta costruita da alcuni abitanti testimonia una diffusa devozione al santo già nel XVI secolo; nel 1595 la visita del vescovo D'Afflitto

di Renato Laganà

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Sulle colline di Reggio Calabria sorge una parrocchia dell'omonimo quartiere: San Cristoforo. Ripercorri le tappe storiche della comunità. Una chiesetta costruita da alcuni abitanti testimonia una diffusa devozione al santo già nel XVI secolo.

San Cristoforo, scopri la storia della parrocchia di Reggio Calabria

Nel 1595 l’arcivescovo D’Afflitto, proseguendo il percorso vallivo del Calopinace in occasione della sua visita pastorale, giunse alla chiesa di «S. Cristoforo de Calopinaci», nel territorio della parrocchia di San Giorgio de Gulpheriis. La piccola chiesa, le cui dimensioni erano di 42 palmi di lunghezza e di 22 palmi di larghezza (12 x 6 metri circa), come risulta nelle descrizioni delle visite successive, era stata edificata dalla gente del luogo per una particolare devozione al santo, trovandosi anche in prossimità di uno dei guadi più frequentati del corso d’acqua.


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Ad accogliere il presule fu don Iacobello Giustra nella funzione di «cappellano amovibile», che in essa celebrava le messe le domeniche e i giorni festivi con un compenso annuo di 12 ducati, dei quali quattordici aquile erano assicurati da un lascito della vedova di Paolo Politi ed il resto dalla raccolta delle elemosine offerte dagli abitanti del luogo. Sull’altare, su cui erano disposti quattro candelieri di legno ed un crocefisso, si venerava un quadro della Madonna dell’Itria.

La "gestione" dei magistri o procuratori

La dotazione di paramenti e suppellettili sacre era povera, quanto bastava per le celebrazioni. Sul campanile a vela era collocata una campana e all’interno una campanella nella zona presbiteriale. Essi vennero puntualmente elencati e consegnati ai «magistri» eletti Cola Francesco Carbone e Giuseppe Foti.

Cinque anni più tardi, nella successiva visita, il presule raggiunse la chiesa, «in contrata lo Pinaci o S. Cristoforo», sita a circa due miglia fuori dalle mura urbane della Reggio seicentesca. Come per le altre chiese non parrocchiali anche essa era amministrata annualmente da «magistri o procuratori» che, oltre a provvedere alla cura della stessa ed alla raccolta delle elemosine dei fedeli, designavano il cappellano in occasione della festività del santo titolare (25 luglio).

In quell’anno era il sacerdote Crispaldo Cosentino che riceveva un «salario» annuo di 30 ducati per celebrare le messe non soltanto la domenica ed i giorni festivi, ma anche durante la settimana per i benefattori non essendo la chiesa di patronato familiare. Detto compenso derivava, oltre che dalla raccolta e dai lasciti precedentemente indicati derivanti dalle rendite di un giardino in «contrada Zaccalonia», e dalla donazione della vedova di Birno Soraci.

All’interno della chiesa c’era di nuovo la presenza di una grande icona, collocata sull’altare che raffigurava la «gloriosissima Vergine della Concezione con i santi Giacomo e Cristoforo». Sulla parete sinistra vi era anche un quadro di Santa Caterina. La dotazione di arredi sacri si era arricchita di due grandi candelieri «per li torci», di un «Messale novo» della stamperia Giunti di Venezia dell’anno 1598, di un grande Crocefisso e di un «confissionario con li balausti».

L’arcivescovo, apprezzando che la chiesa era «nitida e ben ornata» suggerì che, per migliorare la funzionalità dell’altare, lo si dovesse allargare di un palmo sui due lati oltre a collocare una tabella con la preghiera rivolta al santo, impegnando per l’adempimento il procuratore Francesco Carbone.


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Il 4 dicembre 1616, nel corso della visita successiva, cappellano era il padre cappuccino Pietro Carbone, che riceveva un compenso annuo di quaranta ducati per la celebrazione delle messe festive e domenicali e di quelle infrasettimanali dedicate ai benefattori.

All’interno della chiesa era stato realizzato un armadio, sul lato sinistro per conservare gli oggetti sacri e i paramenti delle celebrazioni liturgiche e, sull’altare, erano stati posizionati quattro nuovi candelieri dorati. Il presule raccomandò ancora che fosse realizzata una acquasantiera lapidea chiedendo al cappellano che aprisse più spesso la chiesa e che mantenesse le lampade accese al suo interno.

Dodici anni dopo, nell’aprile 1628, la relazione della Visita dell’arcivescovo D’Afflitto indica che erano procuratori Agostino Minella e Nicola Giacomo D’Umile e cappellano era il reverendo Abate Pietro Carbone che restò confermato sino al 1631, anno della successiva visita pastorale, con i procuratori Francesco Anania e Francesco Velardo.

Con la creazione della parrocchia di Sant’Elia di Condera la chiesa rientrò nel suo ambito parrocchiale che, scendendo dalla «Croce di Cundera va a basso per la via publica e nesci alla fiumara detta Calopinaci...et andando alla fiumara insino alli confini della parrocchia di San Pirato».

Nel novembre 1635, in occasione dell’ultima visita pastorale dell’arci- vescovo Annibale D’Afflitto, erano procuratori Francesco Spanò, Nicola Giacomo D’Umile e Giulio Cesare Dattola che confermarono il cappel- lano. Nella relazione si indica che sull’altare si venerava una grande icona con l’immagine della «Gloriosissima B. Virg.» con «S. Caterina» e San Cristoforo. Probabilmente l’indicazione della Santa è dovuta a un refuso del redattore perché sulla parete laterale permaneva il quadro di Santa Caterina.

Trentasei anni dopo la chiesa venne visitata dall’arcivescovo Matteo De Gennaro che la indicò sita nella contrada detta «Gianalania» confermando poi la raffigurazione della «icona magna», dipinta in olio e ben com- posta, che era racchiusa da una corni- ce e con la figura di «S. Giacomo Apostolo», oltre alla Vergine Maria ed al santo titolare. La relazione non riporta il nome del cappellano, ma ripor- ta i nomi dei tre deputati che erano Vincenzo Romeo, Geronimo Romeo e Agostino Greco.

La parete destra del presbiterio, delimitato da un cancello ligneo, era stata adattata per accogliere il grande Crocefisso. Le indicazioni delle visite pre- cedenti erano state osservate e, accanto alla porta di ingresso, era stata realizzata una acquasantiera in marmo ed inoltre erano state sistemate le grate lignee dei due confessionali.

In facciata, sulla porta di ingresso, vi era un piccolo campanile che ospitava la campana che pesava 13 rotoli (11,50 Kg). Le rendite della chiesa si erano ab- bassate e il cappellano aveva una elemosina di dieci ducati annui per la celebrazione delle messe. Esse provenivano dai censi pagati da Antonino Musco su un giardino sito nella stessa contrada Gianalania (2 duc.); dalle rendite dei giardini di Scipione Malgeri (14 aq.), di Antonio Praticò (5 aq.), di Paolo Velardo (16 aq.), di Paolo Bertè di Pavigliana (1 duc).


PER APPROFONDIRE: La parrocchia di San Cristoforo a Reggio Calabria tra storia centenaria e impegno di oggi.


La ricostruzione dopo il terremoto

La borgata di San Cristoforo con la sua chiesa veniva ad occupare la parte valliva della parrocchia di Sant’Elia di Condera della quale era suffraganea. Nel corso del Settecento essa non fu oggetto di descrizioni nelle visite pastorali. Gli unici dati relativi agli abitanti si possono riscontrare tra i superstiti registri parrocchiali della chiesa di Condera, che tracciano i dati delle nascite, dei matrimoni e dei defunti delle famiglie, tra le quali si possono individuare i nuclei che abitavano nella borgata a valle come i Romeo, i Siclari, i Tortorella, i Rosace, i Greco, i Giustra, i Prato, i Serranò, i Dattola ed altri.

La peste che colpì Reggio nel 1743 portò il suo carico di morte in alcune di queste famiglie e, negli anni successivi le epidemie colpirono saltuariamente i bambini in tenera età. Nel febbraio 1783 il terremoto, pur non provocando vittime, danneggiò profondamente le strutture edilizie della chiesa. Essa venne ricostruita nel 1786 e riprese a funzionare.

Nel 1846, riferendosi all’uso della «cappellania di S. Cristoforo» da parte del sud- diacono Lorenzo Alati, i parrocchiani rilevarono che «da pochi anni in qua ha ridotto la chiesa in malo stato, ch’è deteriorata». A lui subentrò l’accolito Antonio Cara che la tenne sin al 1863 quando fu mandato il sacerdote Francesco Guarnaccia che, per il suo operato, ebbe un difficile rapporto con la popolazione.

Nel 1887, celebrava le messe il sacerdote Vincenzo Macrì ed era amministratore il signor Saraceno Giuseppe che si impegnò a restaurare l’antico quadro dell’Immacolata con San Cristoforo e San Giacomo, affidandola all’artista Letterio Allegra; alla costruzione del soffitto della chiesa con tavole e tela e di quello della sacrestia; alla riparazione dei banchi, del confessionale e della porta affidati al signor Zolea Ferdinando; al restauro dei muri, dell’altare e alla sistemazione del vecchio pavimento della chiesa e del nuovo pavimento nella sagrestia affidati al signor Giacomo Catona.

Nello stesso anno Vincenzo Laganà, pittore, dipinse le mura della chiesa e gli infissi e le mura e il tetto della sagrestia. La chiesa venne quasi distrutta dal terremoto del 28 dicembre 1908 e venne montata una struttura baraccata per garantire il culto. Le cattive condizioni in cui versava la chiesa di San Cristoforo nel 1947 la fecero includere nell’elenco delle chiese da ricostruire, inviato al Ministero dei Lavori Pubblici dall’arcivescovo Antonio Lanza.

Venne redatto un progetto di massima ed inviato al Consiglio Superiore dei Lavori pubblici che nell’aprile 1948 lo restituiva al Genio Civile di Reggio Calabria per «accertare la necessità della ricostruzione pressoché integrale», considerato che l’edificio danneggiato «era costruito con sistema misto baraccato in seguito alla distruzione del terremoto del 1908».

Nel dicembre dello stesso anno il progetto venne restituito all’Arcidiocesi reggina. Gli abitanti della contrada rivolsero tra il 1950 e il 1951 al nuovo arcivescovo Giovanni Ferro la richiesta per l’autonomia parrocchiale. Il presule, presa coscienza della realtà dei luoghi nel corso delle prime visite nel territorio si espresse favorevolmente alla richiesta che venne suggellata con la bolla arcivescovile del 13 aprile 1952 che fondava la nuova parrocchia di San Cristoforo, riconosciuta poi civilmente con il decreto del presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, il 28 gennaio 1953.

Primo parroco venne designato il sacerdote Francesco Labate poi trasferito l’anno successivo, su sua richiesta alla parrocchia di Santa Maria della Consolazione di Oliveto che era stata devastata dall’alluvione del 21 ottobre 1953. Lo sostituì, nel febbraio 1954, il sacerdote Rocco Bevacqua già parroco in San Pietro di Fiumara di Muro.

Nel luglio 1953 San Cristoforo venne compreso nell’elenco, inviato alla Pontificia Commissione per l’Arte Sacra, delle «parrocchie prive di chiesa». La struttura della chiesa riadattata dopo i danni del sisma e danneggiata anche dalle alluvioni dei primi anni Cinquanta necessitava di interventi e nel 1958 il parroco, don Vincenzo Quattrone richiedeva all’Ufficio Tecnico diocesano una perizia tecnica dei lavori da eseguire nella chiesa. Sarebbero trascorsi dieci anni per avviare l’istituzione di un «cantiere di lavoro per il restauro della Chiesa» con i fondi del Ministero del Lavoro, la cui attività venne conclusa nel 1973.

Intanto il lungo iter burocratico per portare avanti la nuova costruzione della chiesa parrocchiale proseguiva in aderenza alla legge sulle «Nuove norme relative alla costruzione e ricostruzione degli edifici di culto» (Legge del 18.04.1962, numero 168). Nell’aprile 1967 il Ministero concesse un contributo di lire 45 milioni e nel successivo settembre il progetto di massima, redatto dall’ingegnere Rocco Zoccali venne inviato alla Pontificia Commissione ed al Ministero dei Lavori pubblici individuando un suolo lungo la strada provinciale Reggio – Cannavò di proprietà del dottor Bartolomeo Marcianò.

L’impian- to planimetrico si rifaceva ad una mono aula, capace di 600 posti, che si accresceva in larghezza ed altezza verso lo spazio presbiteriale. La Pontificia Commissione, nel- la seduta del 13 ottobre, si espresse negativamente, suggerendo «di rivolgersi ad altro progettista, più preparato a trattare il tema sacro».

Nel gennaio 1970, l’arcivescovo Ferro, motivando che la chiesa esistente era «in precarie condizioni statiche e quindi insufficiente ai bisogni spirituali di quella popolazione» trasmetteva al Ministero un nuovo progetto redatto dallo stesso progettista il cui impianto architettonico si rifaceva ad un modello circolare più contenuto nelle dimensioni.

L’anno successivo, fu redatto un nuovo progetto affiancando al progettista precedente l’ingegnere Flaminio De Mojà per la sua esperienza nel campo delle costruzioni sacre. Nella relazione i progettisti giustificavano la scelta progettuale di un modello circolare suggerito «dal tema di fiore sbocciante dalla terra, che s’offre al Padre acciocché venga e ne faccia la sua casa».

Essa doveva essere «grossa corolla, perciò, di base massiccia e robusta portante un fiore leggero, aereo, vetrato, snello e pur grandioso e solenne, onde la luce esterna della natura non rimanga esclusa ma partecipi penetrando e quella interna, divina, s’irradi specie nelle ore serali in sublime interscambio di vita e di santificazione».

Ottenute tutte le approvazioni si dava avvio, nel 1976, alla costruzione del nuovo edificio da parte dell’impresa Demetrio Frascati con la direzione dei lavori affidata all’ingegnere F. De Mojà, conclusi nel 1978. Il parroco, don Antonino Cuzzola, si impegnò successivamente a seguire i lavori di completamento e di decorazione interna.

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