Avvenire di Calabria

Suicidio assistito: vescovi e Pastorale salute Triveneto, “non è diritto o libertà, è scorciatoia. Primo compito è curare, non anticipare morte”

di Redazione Web

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“Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale. Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata”.

È quanto scrivono i Vescovi e la Commissione regionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale Triveneto in una nota appena diffusa, intitolata “Suicidio assistito o malati assistiti?”, frutto di un’ampia riflessione comune su questi temi che fanno parte dell’attuale dibattito politico e culturale. Di fronte ad un argomento “spesso sbandierato come un’acquisizione di diritto e ideologicamente salutato come una conquista di libertà” le Chiese del Nordest intendono “contribuire ad una riflessione che permetta a tutti e reciprocamente di approssimarsi ad una verità pienamente al servizio della persona”.

Vescovi e Pastorale della salute del Triveneto evidenziano che “la vulnerabilità emerge come una cifra insita nell’essere umano e, in una logica di ecologia integrale, in ogni essere vivente”. Per questo “è essenziale porre l’accento sul tema della dignità della persona malata e sul dovere inderogabile di cura che grava su ogni persona ed in particolare su chi opera nel settore socio-sanitario chiamando in causa l’etica, la scienza medica e la deontologia professionale”.

La risposta da dare in queste circostanze comprende “il rispetto per il travaglio della coscienza di ognuno” ma soprattutto “l’impegno a fare in modo che ogni persona si senta parte di un contesto di relazioni di qualità che permettano di superare lo sconforto e il senso di impotenza. Una società capace di cura evita lo scarto e costruisce cammini di speranza non solo per le persone assistite ma anche per chi se ne prende cura, non lasciando sole le famiglie e rinsaldando il vincolo sociale di solidarietà di fronte a chi soffre. In tutto questo – conclude il testo – le comunità cristiane sono chiamate a fare la loro parte”.

Fonte: Agensir

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