Avvenire di Calabria

Il togato Stefano Musolino ammette «Ci sono strumenti normativi ridotti»

«Una legge sulle lobby soffocherebbe le ’ndrine»

Federico Minniti

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Masso– ndrangheta. Musolino fa parte del pool di magistrati impegnati in un processo pioneristico. Col rischio di poter registrare delle condotte illegittime senza poterle sanzionare in modo debito. «C’è un problema generale nel diritto penale: la possibilità di individuare quei “gruppi di potere” che governano i flussi di spesa pubblica».

Un problema di non poco conto e non solo reggino.

«Questo perché in Italia non c’è una legge sulle lobby e quindi questo significa che le aggregazioni possono essere varie e di tutti i tipi, francamente incontrollabili; è un discorso generale: alcune indagini che sono in corso o che sono state enormemente note in tutta Italia, si pensi il caso del Mose a Venezia o dell’Anas (operazione “Dama Nera”, ndr) dimostrano come sul territorio nazionale vi sia questa tendenza».

Un vero e proprio “vuoto”

«Da questo punto di vista abbiamo uno strumentario normativo piuttosto ridotto. Parliamo di violazione della legge Anselmi che però è un reato che prevede sanzioni minime: la semplice partecipazione è punita con un anno, mentre coloro che sono promotori dell’organizzazione rispondono con una pena di cinque anni».

Quindi serve una legge sulle lobby?

«Assolutamente sì. Serve una legge che stabilisca cosa si può fare legalmente cosicché tutto quello che si fa al di fuori dei sistemi lobbistici trasparenti sarebbe reato grave».

Questo agevolerebbe la lotta alla ‘ndrangheta?

«Agevolerebbe relazioni pulite con la Pubblica Amministrazione che in un sistema come il nostro è il primo presidio nei confronti della ‘ndrangheta».

Per sconfiggere i clan basta solo questo?

«Personalmente vado spesso nelle scuole perché lo ritengo un buon momento che è perfettamente coerente e sinergico rispetto al lavoro espletato dal mio ufficio».

E la società cosa deve fare?

«Occorre sedersi al tavolo, confrontarsi, creare laboratori. Purtroppo c’è una grande voglia di personalismo. C’è una povertà culturale figlia di un’assenza totale di dialogo. E in questo l’informazione deve esercitare un ruolo più attivo».

Ma ciò che più di tutto manca è il lavoro...

«Se la logica è uno “stipendio” che viene da relazioni poco limpide, quella genera soltanto fallimenti. Nessuna impresa seria può avere interesse a fare un investimento qui se sussistono queste “esigenze ambientali”. La ‘ndrangheta è un costo che molti imprenditori non vogliono accettare».

Poche speranze, quindi.

«Tutt’altro: c’è una bellissima esperienza cooperativistica nella Locride, che tra gli animatori iniziali ebbe il vescovo Bregantini, che rappresenta i “semi buoni” da cui ripartire. Bisogna puntare forte su questo, più che sul bisogno sociale. Cogliere il segno di una logica profetica: se c’è voglia di cercare lavoro buono, abbiamo prospettive di futuro».

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