Avvenire di Calabria

Don Valerio Chiovaro racconta l’inizio del nuovo cammino a Gerusalemme intrapreso con il progetto Kerigma

Una nuova missione nella Terra del Signore

Accogliere, ascoltare attendere: sono i tre verbi legati a questa esperienza che avvicina Reggio Calabria alla città “eletta” dal Signore

di Valerio Chiovaro

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Don Valerio Chiovaro racconta l’inizio del nuovo cammino a Gerusalemme: nel luogo in cui Dio ha scelto di irrompere nella storia dell’uomo sorge casa Kerigma. Accogliere, ascoltare attendere: sono i tre verbi legati a questa esperienza che avvicina Reggio Calabria alla città “eletta” dal Signore.

Un detto rabbinico racconta che quando il discepolo si presentò al maestro, l’ultimo gli fece tre domande: «Se non tu chi? Se non adesso quando? Se lo fai solo per te che persona sei?»
«Indurire il volto verso Gerusalemme» significa arrivare, morire, risorgere, rigenerarsi nello Spirito, riascoltare il mandato apostolico ed andare ad annunciare. Da qui si riceve la “missione”. È strano, pertanto, pensare la Terra Santa come terra di missione e quindi è strano pensare qui un “fidei donum”, ma al di là delle formule e delle “collocazioni” canoniche, è significativo tornare in Terra Santa per gustare il dono di una fede ricevuta e accogliere quanti in questa terra vogliono riconoscere il Santo.


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È anche questo il senso di casa Kerigma (www.casakerigma.it). È un modo speciale per essere in missione: accogliere, ascoltare, attendere. Accogliere per educare all’accoglienza; ascoltare, per educare alla Parola; attendere per accompagnare all’incontro. E questo con particolare riferimento a quanti vogliono fare della volontà di Dio la propria vita.

Ecco allora i tre verbi di questa missione condivisa con il nostro Vescovo e accolta dal Patriarca di Gerusalemme: accogliere, ascoltare, attendere.

Accoglienza, tanta: mi sono sentito accolto da una chiesa antica, aperta al mondo e fedele al tempo; accolto dai frati cappuccini; dai frati minori della custodia; dal Patriarca. Accolto come uno di famiglia, uno che ritorna a casa, ancora una volta, senza la pretesa di poter dare qualcosa, ma grato per il dono ricevuto. Perché, in fondo il fidei donum non è il “prete che va a donare la fede”, ma il prete che si riconosce, ancora una volta, come un “accolto”. E non si educa all’accoglienza se non ci si sente accolti.

Questa stessa accoglienza è quella che hanno vissuto i tanti che hanno cominciato ad abitare casa Kerigma, una casa dove fare esperienza di cenacolo, dell’essenzialità di relazioni fraterne. Una casa per le poche parole del kerigma e dei tanti silenzi dell’attesa. Qui ci si sente semplicemente accolti, perché non c’è pane spezzato, se non ci sono prima piedi lavati. E la stessa missione dell’accogliere è stata riservata a gruppetti di studenti universitari provenienti da diverse parti del mondo, con i quali, una volta la settimana, condividiamo confronto e cena…

Ascolto, il secondo verbo. Ascoltare è forse tra i verbi più “bestemmiati” nei nostri ambienti. È difficile trovare chi ti ascolti veramente e l’ascolto è uno tra i “colori” del “prendersi cura”. Il ministero che qui vivo, la missione in questa chiesa di Gerusalemme e dalla chiesa reggina, è anche l’ascolto. Per educare all’ascolto di Dio, bisogna saper educare all’ascolto e, come ad amare si educa amando, così ad ascoltare si educa ascoltando. A casa Kerigma -un eremo tra i santuari della città santa- tante, già da adesso, sono le persone che chiedono ascolto: laici, sacerdoti, giovani. In particolare sacerdoti e giovani. Sacerdoti che vengono qui in terra santa per prendere sul serio il proprio “si”, per ri-posare a fronte delle fatiche pastorali, ma anche dei rapporti intraecclesiali, a volte deludenti. È lo spaccato di una chiesa vista dall’interno, dalla voce di chi vive, serve, dona e… soffre, ma sempre fedele, continua. È arricchente, poter essere “cuore che custodisce” la bellezza e, a volte, il dolore di questi confratelli. Ci si sente piccoli e in missione, nonostante non sono io ad andare da loro, ma sono loro a venire in Terra Santa.

Attesa, e questa è la terza parola. Vivere di attesa, non solo di qualche buona scorta di salame e parmigiano. Vivere l’attesa di chi va accolto e ascoltato. Vivere l’attesa di Maria, gravida del Bambino per lasciare spazio alla sua nascita. Vivere l’attesa del Figlio dell’Uomo che qui -Lui è il vero missionario- verrà per giudicare il mondo. L’attesa di chi non si aspetta nulla, ma attende qualcuno. L’attesa -quel tendere verso- che ci fa essere missionari ovunque, perché la missione non è un luogo, ma un essere chiesa fedele alle sue origini, una chiesa che non rinunzia alla sua originalità. E qui, a Gerusalemme, anche i ciechi lo vedono, sordi lo ascoltano e le pietre lo annunciano.

Accanto a tutto questo, tante sono le iniziative che si vanno mettendo in campo, non solo e non tanto per la chiesa di Gerusalemme, quanto dalla chiesa di Gerusalemme. Così, andiamo preparando un corso di lectio biblica; dei video messaggi sul vangelo della domenica dai luoghi dove la Carne è il Messaggio; delle pillole di Terra Santa per i più piccini; le catechesi sacramentali del martedì. Per chi volesse saperne di più basta iscriversi attraverso il modulo bit.ly/restiamoincontattodv .

A questo si sommano pochi pellegrinaggi di sacerdoti e comunità che chiedono un itinerario di esercizi spirituali.

Poi, la celebrazione quotidiana della messa è l’occasione per ricordare giornalmente i sacerdoti defunti. Ogni giorno, secondo l’anniversario di morte, è un tuffo nella memoria grata di chi ci ha preceduto. E poi tanta preghiera, per i miei confratelli che tra accoglienza, ascolto e attesa, sento di dover portare in questo eremo tra i santuari. Perché si sentano consolatati e rinvigoriti, nonostante fatiche ed incomprensioni. Tanta preghiera per i giovani e per tutti, perché si sentano custoditi, dall’alto della croce, dal Maestro che allarga le braccia, anche se questo amplia le ferite dei chiodi.


PER APPROFONDIRE: Reggio Calabria, nuovi incarichi per don Chiovaro e don Ventura


Ecco, in qualche battuta, l’inizio di questa missione che ancora non so dove mi porterà e soprattutto chi mi farà diventare… Ma non mi sento né più né meno missionario di tutti voi. In fondo chi non è missionario si può dire cristiano?

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