Avvenire di Calabria

In occasione della Giornata mondiale delle persone vedove che si celebra oggi, la testimonianza di chi dalla perdita ha riscoperto una nuova vocazione

La vocazione nata dal dolore, l’esempio delle vedove di “Alba Nuova”

L'esperienza del Movimento Alba Nuova nata all'interno della comunità diocesana: la vedovanza come forma di vita

di Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

In occasione della Giornata mondiale delle persone vedove che si celebra oggi, giovedì 23 giugno, Giulia Iracà, animatrice del Movimento Alba Nuova, condivide la propria testimonianza e quella di altre donne che, supportate dalla preghiera e dall’incontro con il Signore, hanno elaborato il lutto, accettando e dando valore al nuovo stato di vita, diventando loro stesse promotrici di speranza in ottica missionaria.

«Alba Nuova è un Movimento di spiritualità ed ha come obiettivo quello di promuovere una solida formazione umana e cristiana delle vedove e il loro impegno apostolico; propone di far riscoprire e considerare la vedovanza come forma cristiana di vita, segno e testimonianza che anche dalla morte, vissuta nella fede, può nascere già nella storia quotidiana una nuova vocazione; aiuta la vedova a scoprire la “nuova condizione di sposa”, la “nuova chiamata” divina per un “nuovo cammino”: tutta per Dio, sposa di Gesù».


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


L’elaborazione del lutto, le difficoltà di mandare avanti la famiglia, l’improvvisa mancanza di una delle due figure genitoriali di riferimento, dinnanzi alla presenza di figli ancora in tenera età. Per Giulia Iracà, animatrice del Movimento di spiritualità Alba Nuova della diocesi di Reggio Calabria - Bova, «la vedova che accetta nella fede il suo nuovo stato come vocazione può diventare maestra di verginità e di vita nuziale (Sant’Ambrogio)». Il movimento aiuta in questo, «proponendosi, inoltre, nella sua azione missionaria, di andare, insieme, come sorelle incontro al Signore, per vivere con la Sua Grazia quelle esperienze spirituali che trasformano il dolore, le difficoltà, la solitudine, le fragilità, in una nuova capacità di amore», spiega Iracà, riferendosi anche al suo vissuto.

La perdita del coniuge è un trauma molto profondo: come si supera questo momento così drammatico?

 Il distacco dal coniuge genera inevitabilmente un trauma profondo, un disorientamento e mette la persona sola di fronte alle proprie fragilità e alle proprie responsabilità per l’accudimento dei figli e dei doveri materiali e sociali. È bene quindi che la vedova che ha già vissuto un tale evento e ha fatto esperienza della grazia di Dio, del suo conforto, del suo amore, si faccia cirenea di chi ora è sola, viva l’esperienza della buona samaritana che, con delicatezza apostolica, favorisca l’inserimento ecclesiale della sorella vedova e la sua cura pastorale da parte della comunità. È indispensabile l’attenzione dei sacerdoti affinché negli itinerari formativi delle famiglie sia dato spazio a questa iniziativa, perché la vedovanza, accettata con animo forte come continuazione della vocazione coniugale, sia onorata da tutti (GS, 48: Dir. Pastorale Famiglia 124-125).

Secondo lei qual è il modo migliore per accompagnare una persona che ha vissuto la morte del marito o della moglie?

Il modo migliore per accompagnare chi vive lo stato di vedovanza è quello di porsi in una condizione di ascolto, di condivisione del dolore e della fede per percorrere insieme quell’itinerario che porta dal Getsemani al Tabor, che fa uscire dalla rassegnazione per scoprire e vivere una nuova fecondità evangelica.

Ci vuole un accompagnamento particolare per i figli, quali consigli in tal senso?

La mancanza del coniuge porta a riconsiderare il compito riguardo l’educazione dei figli. Il padre o la madre che mancano sembrano figure insostituibili e nella logica umana si pensa che non potranno più svolgere il loro compito genitoriale. Per il cristiano, invece, non è così perché lo spirito della persona non muore, continua a proteggerci a intercedere per i propri cari: rimane nello Spirito di Dio in comunione con le persone amate. È la figura del matrimonio che viene superata, perché appartiene alle cose che passano, ma il suo senso, che è comunione tra un io e un tu umani, è destinato a perfezionarsi nell’eternità di Dio.

La vedova, nella misura in cui prenderà sempre più consapevolezza di essere stata creata a immagine e somiglianza di Dio, cioè di essere “padre e madre”, permetterà a questa verità di manifestarsi senza traumi né stravolgimenti di ruoli. Maria ci è modello e riferimento e uniti a Lei con la preghiera, la Parola e i sacramenti, sarà possibile coltivare e testimoniare la speranza e vincere la tentazione di ripiegarsi su sé stessi e chiudersi. Si potrà così offrire a tutti e ai figli per primi, la forza della virtù della speranza cristiana che è servizio nella gioia e nell’amore a Dio e ai fratelli. È importante, inoltre, parlare liberamente e serenamente in famiglia del coniuge che non c’è più, senza remore, senza imbarazzi, per mantenere viva la sua memoria, i suoi pensieri, i suoi sentimenti.

La fraternità del Movimento Alba Nuova è un’occasione di sostegno reciproco. In che modo vi servite a vicenda?

Il Movimento Alba Nuova, costituito da circa cento vedove, s’incontra mensilmente dal 1995. L’assistente spirituale don Nicola Casuscelli ci incontra mensilmente per la celebrazione della Santa Eucarestia alla quale fanno seguito momenti di Adorazione e di condivisione fraterna, di colloqui personali anche attraverso la Confessione.

Don Nicola da circa quindici anni ci segue con particolare cura paterna, sempre presente negli incontri di spiritualità e di formazione, nei ritiri e pellegrinaggi che si vivono nel corso dell’anno. Particolare attenzione è rivolta ai nostri seminaristi con i quali si condividono momenti di preghiera e di convivialità in Seminario e per i quali ogni vedova ha il compito di pregare per tutti e per uno in particolare e di accompagnarlo anche dopo l’ordinazione sacerdotale.

Articoli Correlati