
Il segreto di Francesco. La riflessione dell’arcivescovo Morrone sul Papa venuto «dalla fine del mondo»
Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria –
Luoghi cari alla missione della Chiesa. Dentro le mura dei penitenziari reggini: Arghillà e San Pietro. Un viaggio speciale tra dolore, pentimento, ma anche tanta voglia di cambiare davvero. Padre Carlo Cuccomarino, il cappellano delle carceri: «Ecco come il Vangelo può trasformare questi posti di vera sofferenza in spazi di crescita»
Padre Carlo Cuccomarino è il cappellano delle carceri di Reggio Calabria. Ci accompagna in uno speciale viaggio in uno dei luoghi più cari alla missione della Chiesa.
👇 Ascolta l'episodio di oggi del Podcast Good Morning Calabria con padre Carlo Cuccomarino
Un prete in carcere, come si può ben comprendere, non va a titolo personale. Così come in ogni ambito pastorale, anche il carcere è un luogo di missione. Il cappellano va in carcere a nome di tutta la Chiesa, perché è il vescovo a dare il mandato di esercitare il proprio ministero sacerdotale in un determinato luogo.
Il prete, in carcere come in ogni altro contesto pastorale, annuncia la verità del Vangelo, che è la misericordia di Dio per tutti, nessuno escluso. In carcere, in particolare, si annuncia la salvezza, che è un dono di Dio per tutti i suoi figli.
Sì, effettivamente il carcere è uno spazio fisico abitato da persone, ognuna delle quali ha il proprio vissuto, il proprio passato e la propria storia. In carcere si vive una vita essenziale, che porta a cercare l’essenziale della vita stessa. Questo favorisce spesso una revisione critica del proprio passato e delle proprie scelte. Attraverso un percorso spirituale e una riflessione personale, si cerca di giungere a quella verità che Gesù Cristo ha portato sulla terra per tutti.
È necessario fare una premessa: per i detenuti, il legame con i propri cari è spesso l’unica ragione di speranza e di vita. Purtroppo, il carcerato, recluso dietro le sbarre, soffre molto questo distacco dai contesti familiari e dagli affetti. La maggior parte dei detenuti vive per i propri familiari: sono l’unico motivo di speranza per loro.
PER APPROFONDIRE: Dignità e reinserimento sociale: con il lavoro, una speranza per i detenuti di Reggio Calabria
Esistono già strumenti predisposti dall’amministrazione carceraria per favorire il più possibile il contatto, sia telefonico sia attraverso i colloqui visivi con i propri cari. Inoltre, sto riflettendo sull’opportunità di estendere la pastorale carceraria anche alle famiglie dei detenuti, che vivono anch’esse il dramma della carcerazione dei loro cari. Insieme agli altri volontari, possiamo dare una parola di conforto e offrire un accompagnamento spirituale anche a chi è “fuori” ma vive questa stessa sofferenza.
La difficoltà maggiore che un detenuto incontra dopo aver espiato la pena è quella di superare le “seconde sbarre”: il pregiudizio della società, che spesso è presente anche nella stessa comunità cristiana. Bisogna lavorare molto per abbattere queste barriere, che portano spesso a isolare il carcerato, escludendolo dal contesto sociale ed ecclesiale. La Chiesa interviene fin dal periodo di detenzione, attraverso il “programma per i dimittendi” destinato ai detenuti in procinto di uscire dal carcere, spesso indigenti. Il cappellano collabora con questo programma, offrendo un accompagnamento sia spirituale che psicologico e materiale, per aiutare i detenuti a reintegrarsi. È essenziale coltivare il legame con le famiglie e favorire il ritorno nella propria realtà familiare. Tuttavia, l’ostacolo maggiore resta l’integrazione lavorativa, ostacolata da pregiudizi e vincoli burocratici, come la richiesta di certificati penali per l’assunzione. Anche chi tenta di avviare un’attività privata affronta le stesse difficoltà.
Paolo VI, in un celebre discorso ai carcerati del Regina Coeli di Roma nel 1964, disse che in carcere non si può commettere un solo peccato: il peccato della disperazione, ovvero di perdere la speranza. La speranza è fondamentale per i detenuti e per le loro famiglie. Si deve restituire loro la dignità umana e cristiana, permettendo a ciascuno di avere una seconda opportunità. Abbiamo il dovere morale, in quanto cittadini e cristiani, di offrirla a questi nostri fratelli.
Vorrei che la comunità di Reggio Calabria, sia quella civile che quella ecclesiale, conoscesse la realtà del mondo carcerario, una realtà spesso sconosciuta. Dietro le sbarre di San Pietro c’è un mondo che vive e spera. A Reggio Calabria esiste una “città dentro la città”. Sto progettando un’iniziativa chiamata “Chiesa in entrata” per dare ai parroci e alle associazioni laicali la possibilità di conoscere il carcere e i detenuti attraverso eventi che si terranno all’interno della struttura. Così chi vive “fuori” potrà comprendere meglio questa realtà, e i detenuti si sentiranno meno soli, più vicini al tessuto sociale ed ecclesiale.
Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria –
Ritorna a Ecojazz dopo 10 anni dalla sua ultima esibizione nel 2015 coinvolgendo gli spettatori
Il presidente dell’Accademia Internazionale del Bergamotto, Vittorio Caminiti, ha illustrato le novità dell’edizione 2025 Il